Il consumo che ci divora

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Un progresso indefinito e incondizionato è ciò a cui l’uomo ambisce. Sembra quasi che la storia dell’umanità ci offra l’opportunità di vivere una rinnovata età positivistica. Certamente con strumenti ed espedienti del tutto originali, figli di un mondo tecnologico impensabile all’epoca. Dominati da questo incontenibile slancio vitale, ci illudiamo, tuttavia, di poter annullare la nostra reale indole caratterizzata da finitezza ed estrema vulnerabilità. L’uomo evolve, o quantomeno crede di attuare questo progresso, e pretende che la terra segua il medesimo corso. Si scivola infatti nell’errore di concepire le risorse offerte dal pianeta come qualcosa di dovuto, destinato a generarsi nuovamente e dunque inesauribile. Non ci troviamo però all’interno di un videogioco: una volta infranta una vita, nessuno sarà disposto a ricrearne una nuova. È divenuto completamente vano quel rapporto tra uomo e natura, tanto esaltato da Byron, regolato da una sorta di timore reverenziale nei confronti di un Sublime fonte di risposte.

Questa visione fortemente antropocentrica non costituisce certamente un fenomeno isolato e privo di risvolti. L’antropizzazione di aree assolutamente a rischio, l’eccessivo sfruttamento di risorse, il cambiamento climatico sono solo alcuni dei risultati di questa concezione distorta della realtà. La stessa mentalità che porta a costruire edifici in luoghi non idonei. Centri densamente abitati hanno infatti ormai raggiunto anche zone potenzialmente pericolose per l’uomo. È sufficiente pensare alle abitazioni erette nei pressi delle pendici del Vesuvio. La questione pare così irrilevante che si è persino deciso di dare alla via il nome “Largo lava” seguito dall’anno dell’eruzione. L’attaccamento al territorio e la prospettiva incerta di cancellare, in qualche modo, parte della propria esistenza rappresentano i fattori determinanti che rendono pressoché impossibile l’allontanamento degli abitanti da questi luoghi. La propria casa resta pur sempre un elemento legato alla dimensione più intima di ciascun individuo, sebbene questa si trovi in comuni esposti ad alti rischi sismici come nel caso di Amatrice. Ad essere centrale è ormai un consumo di suolo che non solo pone in secondo piano le caratteristiche geomorfologiche e climatiche ma che invade sempre più il terreno destinato alla fauna locale. Le polemiche incentrate sulle città invase dagli animali ne sono poi l’immediata conseguenza.

L’uomo si configura inoltre come il protagonista indiscusso di un vertiginoso aumento demografico che ha portato la popolazione mondiale a raggiungere la vetta degli otto miliardi di individui. Tale fenomeno si deve in particolar modo a Paesi come il Brasile e l’India, i quali ne vivono quotidianamente gli effetti portati alle estreme conseguenze. Il clacson infatti non è funzionale a segnalare un pericolo, ma ad avvertire gli altri autisti della propria presenza. Elevati livelli di inquinamento acustico, emissioni sempre più consistenti e frequenti, scarse condizioni igieniche non destano più alcuno stupore. Situazione estremamente precaria che può essere estesa anche a numerosi stati africani dove, all’incremento demografico, si sovrappone poi lo sfruttamento del territorio. Il baricentro dell’interesse si sposta, ad esempio, sulle miniere d’oro. Ci si approfitta senza scrupoli non solo delle risorse ma anche dei lavoratori. Nasce così una vera e propria “febbre dell’oro”, dove tutta un’esistenza è appesa ad una pepita.

Di fatto, si è consolidata una maggiore esposizione ai rischi della nostra società. Rincorriamo un progresso infinito che, però, ci divora all’interno.

Martina Carangella



Il Salice

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