Discorso sulla felicità

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di Alessia Gagna

Si è soliti descrivere la felicità come sinonimo di ricchezza, salute, amicizia, famiglia unita e disponibile, vacanze, amore e molte altre ancora. Dunque, il contrario di ciò che è enumerato in questo elenco dovrebbe essere ritenuto infelicità. No di certo, perché se qualcosa di semplice c’è nella felicità è proprio che non può essere racchiusa in una lista. La felicità ha milioni di sfaccettature, diverse per ognuno di noi, dipendenti da vibrazioni interne che suscitano serenità, tranquillità, contentezza, allegria, gaudio, o almeno così ci viene descritta.

La felicità è un sentimento forte che, giungendo, dovrebbe illuminare gli angoli tetri della nostra mente di una luce nuova e splendente. È tutto ciò che trasforma la mera sopravvivenza in gioia pura. Ma se invece la felicità fosse un’invenzione umana per dare una speranza all’uomo contro la tristezza, emozione da secoli più evidente e di più facile comprensione? La tristezza è il fallimento, è la solitudine, la morte. La tristezza non lascia spazio ai dubbi, essa è universale e certa perché trova sempre uno spazio per insinuarsi nelle nostre vite. Il nostro tempo scorre per la maggior parte in una zona neutra a metà tra la felicità e l’infelicità. Questa zona la chiameremo grigio, un colore di transizione tra il bianco felice e il nero triste. Il grigio è stasi, è calma piatta, una calma in tensione ma allo stesso tempo vogliosa di tranquillità, ma rimane pur sempre grigio, ben discostato dalla felicità.

Da secoli gli uomini cercano metodi per avvicinarsi alla felicità: studi filosofici con il fine di definirla, la religione che promette ai credenti l’eterna felicità dopo la morte. Tuttavia, parecchie volte gli uomini idealizzano un’immagine su un evento prima che questo avvenga basandosi sulle esperienze passate, come sostenevano i filosofi greci, per affrontare situazioni future. A causa del modo con cui la nostra mente lavora finiamo per immaginare persone, risposte perfette per ogni situazione, intere giornate e formuliamo i modi per uscire vincenti da ogni contesto, inutile dire che quasi la totalità di quello che ci eravamo prefissati non si avvera e veniamo trascinati verso un’eterna insoddisfazione.

Tra i giovani dell’età contemporanea l’infelicità è un tratto distintivo, un’economia sempre più incerta accompagnata da problemi ambientali e guerre di grande calibro che sembrano escludere ogni possibilità per il futuro del pianeta gravano pesantemente sulle loro spalle. Una problematica altrettanto importante è la ricerca costante dell’approvazione altrui. Il mondo dei social, realtà alla quale i giovani sono sempre più precocemente avviati, mostra un drammatico quadro dell’ideale che viene dipinto: i personaggi influenti sono soliti focalizzare l’attenzione di ciò che condividono sui momenti da loro appositamente scelti per far sì che si crei un mito sulle loro vite, sulla felicità e sulla bellezza. Nonostante sia ormai ampiamente diffusa l’idea che questi personaggi non abbiano nulla di ciò che mostrano, nemmeno la bellezza perché ottenuta grazie a filtri e modifiche, il giovane aspira a ciò che vede e ci si mette con tutte le forze, preferendo la bellezza al perfezionamento del proprio carattere.

Se la felicità non è bellezza, non è consenso né molto altro essa potrebbe essere il bello delle piccole cose. La chiave per la felicità potrebbe risiedere nel non dare nulla per scontato e attendere che ciò che si spera più di tutto giunga nel modo migliore. Si dice che si ami di più l’idea dell’amore che la persona amata, allo stesso modo si ama di più l’attesa della felicità che la felicità stessa. Forse è questa la ragione per cui nessuno sa veramente dare una definizione di felicità e inquadrarla in determinati eventi o persone, perché mentre attendiamo, la stiamo già vivendo e quando arriva abbiamo già nuovi desideri da soddisfare che non la contemplano ma la lasciamo scivolare via. Perché su “tutte le cose pare sia scritto: più in là” scriveva Eugenio Montale.

Redazione



Il Salice

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