Lorenzo Albrile, “Tapparelle abbassate”

Il pensiero comune ci porta spesso a credere che le materie scientifiche siano in contrasto, o quasi nemiche, di quelle umanistiche, ma ovviamente non è così e a dimostrarcelo è il professore di fisica e matematica Lorenzo Albrile che nella sua descrizione personale sul sito della scuola Liceo Valsalice ha scritto: “Ritengo che la separazione tra l’ambito umanistico e l’ambito scientifico sia soltanto un costrutto del nostro tempo senza valore, e che i due saperi costituiscano i due lati di una stessa medaglia splendente”.
Ad ulteriore prova di ciò ha partecipato alla XV edizione del concorso letterario “Il Meleto di Guido Gozzano” con il racconto intitolato “Tapparelle Abbassate” e sabato 13 settembre, alla villa Il Meleto di Agliè, è stato premiato per il secondo posto.
Qui di seguito il racconto
Lorenzo Albrile, “Tapparelle abbassate”
È da un bel pezzo che le tapparelle sono abbassate.
In questo piccolo salotto decorato con semplici mobili di legno che poggiano su una graniglia un po’ dozzinale ci sono solo io. Mi sono abituato a questa solitudine e passo il tempo rannicchiato sulla mia tela sottile lassù, nell’angolino della stanza, a destra di quella finestra dalla quale da qualche mese non entra più la luce del sole. Mi tiene compagnia lo sferragliare del tram che passa lungo la Strada qui sotto a tutte le ore del giorno e della notte. Ricordo che il Vecchietto qualche volta brontolava tra sé e sé mentre si affrettava a uscire di casa e si lamentava perché “quello stramaledetto Quindici”, a suo dire, non passava mai all’orario stabilito; ricordo, però, che una volta, quando c’era ancora la Vecchietta, dicevano di essere così tanto abituati allo strepito del tram che andava e veniva dal deposito a tarda notte o al mattino presto da non riuscire a prendere sonno se non cullati da quel rumore, diventato ormai a tutti gli effetti un inquilino della camera da letto.
La Vecchietta se n’è andata da qualche anno, ormai. Per mia fortuna nell’ultimo periodo in cui viveva ancora in questa casa non ci vedeva più tanto bene, altrimenti non mi avrebbe mai lasciato stare tranquillo quassù nel mio angolino, sulla mia tela discreta. Il Vecchietto, invece, sembra non fare caso a me. Forse non mi ha mai visto? Non mi sorprenderebbe, da quando la Vecchietta se n’è andata sembra non far caso a molte cose. Eppure, è sempre stato un tipo sveglio o, almeno, questa era opinione che lei aveva di lui quando ancora lavoravano e alla sera si raccontavano come fosse andata la giornata. Non mi dispiacevano i loro racconti, mi tenevano compagnia nelle ore lunghe in cui stavo affamato nel mio angolino, aspettando che qualche moscerino si posasse sulla mia tela leggera. Avevano gestito per anni una piccola tintoria che si trovava sempre sulla Strada di casa – quella percorsa dal tram – ma un centinaio di metri più in là, verso la grande Piazza animata dal traffico che, da come la descrivevano, deve essere un importante crocevia pieno di persone, di eventi e di vita. Qualche volta, quando rincasavano più tardi, li sentivo discutere sui film che erano andati a vedere insieme allo spettacolo serale del cinema che si trova sulla Piazza, dopo l’orario di chiusura del negozio.
Hanno smesso di lavorare da più di dieci anni, e da quel momento i muri della vecchia tintoria non hanno più trovato pace: prima hanno ospitato un’agenzia immobiliare, poi un negozio di sigarette elettroniche, poi un centro massaggi e ora un distributore automatico. Il Vecchietto se ne lamentava di continuo. Spesso, quando tornava a casa dalla passeggiata lungo la Strada, borbottava con la Vecchietta parlando di serrande abbassate, di chiusura definitiva, di giovani incapaci di gestire le attività. La Vecchietta lo ascoltava paziente e lo invitava a non darci tanta importanza. In fondo, la città cambia, i negozi aprono e chiudono e i vecchi vanno in pensione, no? È nella natura delle cose.
“Per fortuna se n’è andata dopo il centro massaggi e prima del distributore automatico!” aveva detto un giorno il Vecchietto a un suo vecchio Amico che veniva spesso a trovarlo a casa nel pomeriggio infinito dei sabati autunnali per trascorrere insieme un paio d’ore di malinconica allegria. Nell’ultimo anno, però, il vecchio Amico non è più passato da queste parti e la voce di quel signore garbato è stata sostituita dall’irritante chiacchiericcio di un talk-show pomeridiano, per me particolarmente molesto dal momento che il mio angolino e la mia tela silenziosa si trovano proprio sopra l’altoparlante del televisore.
Anche il Vecchietto non è in casa da qualche mese, ormai. È stato lui ad abbassare l’ultima volta le tapparelle del salotto e a lasciare la porta socchiusa, dopodiché non l’ho più visto. Dagli spiragli di luce che filtrano tra i listelli delle serrande e si rifrangono sui pendenti di quarzo del lampadario mi accorgo che le giornate del Borgo iniziano ad allungarsi. Giorno dopo giorno la polvere si deposita inesorabile sul buffet di legno coperto di foto incorniciate e sul tavolo rettangolare con le sedie dall’imbottitura verde, sul mobile a parete con le ante vetrate piene di bomboniere e carabattole e sui libri poco interessanti posti sui ripiani a giorno, sul paralume della vecchia lampada da terra e sul divano in velluto damascato un po’ fané.
Un paio di volte, nell’ultimo periodo, ho sentito la porta dell’ingresso che si apriva e dalle altre stanze sono arrivate le voci del Figlio e della Figlia: non erano d’accordo in merito al futuro di quell’appartamento anonimo. L’uno lottava sorreggendo lo stendardo della nuda proprietà, l’altra si trincerava dietro la barricata dell’affitto agli studenti fuorisede mentre io, nascosto nella penombra del mio angolino, ascoltavo la loro animata discussione: chissà quale delle due idee prevarrà. L’unica certezza per me è che la mia tela benevola verrà disfatta in un battito di ciglia appena le tapparelle verranno di nuovo tirate su.