Dialogo sul giornalismo
di Federico Basaglia, Carola Cogno, Lodovica Naddeo
“Avevo il risvolto del pantalone intriso di sangue”. Il racconto di Claudio Giacchino non potrebbe essere più crudo e diretto. Giachino, Luciano Borghesan e Michele Ruggiero, giornalisti e rappresentanti dell’associazione AIVITER (Associazione Italiana Vittime Terrorismo), hanno incontrato alcune classi dell’ultimo anno per spiegare cosa furono sotto un punto di vista giornalistico ed umano per Torino gli anni di piombo. Al giorno d’oggi il giornalismo non è considerata una professione pericolosa, almeno in generale, ma nel passato non è sempre stato così. Queste persone non solo hanno vissuto come cittadini gli anni di piombo, il ventennio dello scorso secolo tristemente ricordato in Italia per le frequenti attività terroristiche, ma anche da giornalisti professionisti e hanno riportato alcuni dei momenti più salienti di quegli anni a Torino, uno dei fulcri principali delle attività delle Brigate Rosse e Prima Linea per la presenza del colosso industriale FIAT. Durante l’incontro sono stati ricordati tutti i giornalisti gambizzati o uccisi dai nuclei terroristici, tra cui Carlo Casalegno ucciso durante i mesi del cosiddetto “processone” di alcuni brigatisti arrestati. Borghesan era stato appena assunto nella redazione de “La Stampa” al tempo e ricorda come ogni mattina, appena giunto in redazione, attendeva le ormai quotidiane rivendicazioni di gambizzazioni e omicidi da parte dei terroristi.
La situazione di tensione sociale interna allo Stato aveva posto le testate giornalistiche davanti a un bivio: diffondere tutte le notizie di cronaca nera ed essere così considerati simpatizzanti delle brigate oppure edulcorarle, diventando i cosiddetti “servi del potere democristiano” secondi i terroristi. Alla fine prevalse il motto “nè con lo Stato nè con le BR” in quanto lo stesso governo non ha rilasciato molte dichiarazioni, rendendo dunque qualunque presa di posizione estremamente pericolosa. I giornalisti erano soliti sintonizzarsi sulle stazioni radio della polizia attendendo informazioni su “possibili rapine”, un nome in codice utilizzato per indicare gli attentati, per essere i primi a recarsi sulla scena e così arrivando spesso prima degli stessi agenti: in questo modo Claudio Giacchino è stato uno dei primissimi ad entrare e prestare soccorso nella scuola di amministrazione aziendale di Torino, sede del tragico attacco compiuto da Prima Linea su studenti e professori gambizzati. Ciò che lo ha colpito più in quella situazione è stata l’ingente quantità di sangue che gli aveva persino macchiato l’orlo del pantalone: la gambizzazione infatti è una tecnica persino peggiore di un colpo alla nuca in quanto la vittima può morire per dissanguamento senza un rapido intervento medico.
Dopo la conferenza i tre giornalisti si sono gentilmente offerti di rispondere a qualche domanda dei nostri redattori sulla loro professione e sul ruolo dell’informazione.
Nel giornalismo di oggi quanto conta la figura dell’inviato sul campo?
Oggi gli inviati sul campo sono praticamente tutti giornalisti “free lance”, ovvero i cosiddetti “collaboratori esterni” dei giornali. Bisogna però distinguere i Free lance di alto livello, che hanno già una carriera alle spalle nei giornali, e i giovani Freelancers che sperano di divenire dipendenti contrattualizzati dai giornali. Ovviamente questi ultimi non ricevono uno stipendio fisso o sono sottopagati, il loro è un vero e proprio sfruttamento intensivo. La vecchia generazione non si approfittava così dei ragazzi nell’industria, i quali non solo non hanno l’autorevolezza per imporsi, ma non hanno neanche l’autonomia per farlo, il che è paradossale se si riflette sul fatto che l’immagine di un giornale è data in primis dai suoi giornalista .I giornali ormai non sanno più avere una rete di veri inviati, gli unici che siano davvero disposti ad andare sono i freelancer, ovvero coloro che hanno poco o nulla da perdere in termini lavorativi e vedono nel reportage sul campo una delle rare occasioni per fare carriera, mentre gli altri si tengono lontani. Esistono però anche freelancers che sono agli antipodi dell’ inviato, alcuni di loro infatti vengono relegati anche per anni alle scrivanie della redazione con l’unico compito di reperire informazioni sul web. Ma non è un approccio corretto, sulle notizie bisogna avventarsi, non cercarle su internet. Soprattutto nei teatri di guerra, già era stato così per il Vietnam e oggi lo stiamo vedendo per nel conflitto russo-ucraino. Il freelance se non ha la notizia non trova spazio nel giornale e rischia puntualmente il suo lavoro, oltre che la sua vita. Una menzione d’onore va sicuramente al torinese Domenico Quirico, il quale, da inviato in scenari di guerra, è stato sequestrato per ben due volte, rischiando di diventare l’ennesimo martire di questa professione.
Recentemente lo sciopero della testata “Repubblica” ha riaccesso il dibattito sulla crisi dell’editoria: quali sono i problemi che più affliggono quella giornalistica?
L’editoria sta indubbiamente attraversando una crisi che la porterà ad un punto di non ritorno. Uno dei fattori è stato il passaggio quasi improvviso dalla carta al digitale,il quale ha certamente rivoluzionato i costi della tiratura, ma ha innescato un problema per quanto riguarda le vere risorse dei giornali, ovvero le copie vendute e la pubblicità. In Italia, infatti, non esistono leggi che pongano un tetto sulla pubblicità. Anzi, il più delle volte gli stessi inserzionisti arrivano ad influenzare la linea editoriale. La problematica di fondo è che i giornali in formato cartaceo stanno diventando sempre più di nicchia mentre gli editori continuano a vivere puntando troppo poco sulle risorse online. Le tirature della stessa “Repubblica” sono crollate quasi completamente in neanche quarant’anni . Senza contare che è cambiata anche la politica come emanazione di informazione: l’ascesa di pochi giganteschi gruppi editoriali e il crollo dei grandi partiti di massa hanno distrutto anche i giornali.
Giornalismo su carta o digitale? Quale il più affidabile e veritiero?
Certamente il giornalismo digitale è più immediato, facile, veloce, ma spesso ingannatore. Prendiamo Instagram per esempio: migliaia di notizie banali e decontestualizzate che vengono vomitate addosso agli utenti. Difficile quindi distinguere tra verità e fake news, tra realtà e finzione. Il tutto in un contesto in cui non c’è differenza tra il professionista qualificato e il semplice osservatore. Diverso è invece il mondo del giornalismo cartaceo, in cui è fondamentale il rapporto di fiducia che si instaura tra lettore e giornale. Non si può quindi prescindere da credibilità e veridicità, le vere anime della carta. Forse l’ideale sarebbe completare l’immediatezza del digitale con la precisione del cartaceo o al massimo con una ricerca personale. Non dimenticatevi mai di approfondire, di andare oltre il classico titolo accattivante, che in realtà è spesso privo di sostanza.
Il digitale prevarrà su quello cartaceo ?
Purtroppo l’editoria ha sbagliato a sottovalutare la potenza dei social e soprattutto dei motori di ricerca. Si tratta di un intero mondo digitale che sottrae articoli, commenti, fatti al cartaceo. Insomma un vero e proprio conflitto tra digitale e carta che probabilmente vedrà la sconfitta del giornalismo cartaceo, ridotto a piacere di nicchia, per pochi.
Qual è il rapporto tra politica e giornalismo?
Ci sono tante “Italie”. Una per ogni giornale pubblicato. Innumerevoli versioni di uno stesso fatto, innumerevoli punti di vista. Ovviamente ogni testata giornalistica ha una linea editoriale da seguire e da cui non può prescindere; ma al di là di questo ogni giornale è indissolubilmente legato all’influenza del mondo della politica e dei politici stessi. Addirittura ci sono editori che ricoprono il ruolo di parlamentari. Non solo, c’è tutto il mondo pubblicitario da tenere in considerazione. Pensate solo al settore della moda e al potere, soprattutto economico, che esercita sui media. Basta una parola e addio alle pubblicità. Inoltre è chiaro che l’accentramento delle varie testate nelle mani di un singolo non contribuisce ad allargare l’orizzonte dell’editoria italiana. Ci sono quindi dei margini entro cui il giornalista può operare, dei limiti che può superare solo a suo rischio e pericolo. Scordatevi infatti la libertà di stampa: non esiste.