Dallo scavo alla cattedra

Angela Deodato

di Ludovico Albesano, Costanza Castorina, Helena D’Autriche, Aurora Levato, Vittoria Simonetti

La redazione del Salice ha intervistato Angela Deodato, professoressa di Valsalice ed archeologa. Insegna a Valsalice dal 2016, ama molto l’opera, leggere, visitare musei e cucinare. Le abbiamo fatto alcune domande sul suo percorso archeologico e scolastico.

Cosa l’ha spinta a intraprendere il suo percorso di studi?

“Mi piaceva tantissimo la letteratura latina, greca e italiana. Quindi quando ho scoperto che dalla letteratura latina e greca c’era tutto un mondo che si apriva davanti a me, quello dell’arte e della storia antica, non ho avuto dubbi e quindi ho scelto la facoltà di Lettere Classiche. In realtà avevo già pensato all’archeologia come professione, non per i film di Indiana Jones (anche se li ho visti tutti) ma perché mi affascinava questo mondo. Tuttavia a Torino non c’era la facoltà di archeologia, bisognava iscriversi a lettere classiche e poi da lì intraprendere l’indirizzo archeologico. I miei genitori non volevano assolutamente che io facessi l’archeologa perché per loro non era una professione. Ho fatto anche gli esami in più per archeologia e siccome l’Università di Torino aveva uno scavo in Calabria a Locri, al terzo anno sono riuscita ad andare a scavare. Lì ho capito che il mio mondo voleva essere l’archeologia e quindi ho continuato a mandare avanti questo corso di studi improntato sugli scavi”.

Quale percorso liceale ha intrapreso? 

Ho frequentato il Liceo Classico ad Asti, un liceo molto tradizionale. L’Università invece a Torino, dove ho studiato Lettere Classiche.

Quali scavi l’hanno entusiasmata di più e perché?

“Ce ne sono stati tanti, di importanza diversa. Lo scavo di Beirut è stato uno dei più complessi: era la vecchia Beirut distrutta dai bombardamenti della guerra in Libano ed è stato uno degli scavi più importanti anche perché ho conosciuto mio marito. Lì ho compreso che nell’archeologia si lavora in equipe: ci sono diversi esperti come ad esempio addetti allo scavo, conoscitori di epigrafia e tanti altri che si prodigano tutti insieme per arrivare a dare una prospettiva storica. A livello emotivo uno dei più importanti è stato uno scavo in Puglia dove abbiamo trovato una tomba di una ragazza, nella quale c’era solo lo scheletro con in testa una coroncina di fili d’oro e per me è stato molto emozionante.”

Nonostante non faccia più l’archeologa, si occupa ancora di manifestazioni o corsi a riguardo?

“Sono archeologo conservatore in due musei piemontesi. Non scavo più, però mi occupo di divulgazione e l’anno scorso ho pubblicato anche un libro”.

Cosa l’ha spinta ad insegnare? 

“Ho sempre pensato che fare uno studio o ricerca importante non servisse a niente se non si poteva comunicare agli altri. Quindi anche quando ho intrapreso il filone archeologico, davo lezioni di latino, greco e facevo supplenze.  Tuttavia mi sono dedicata soprattutto alla didattica nei musei. Allora ho capito che mi piaceva moltissimo trasmettere agli altri ciò che sapevo, quasi quanto poter fare ricerca. Dopo varie vicende, le scelte della vita mi hanno portata a fare l’insegnante”.

Quali devono essere le doti di un buon docente? 

“Deve saper ascoltare, osservare bene i propri alunni: cogliere nei loro occhi ciò che non dicono a parole e comprendere i loro pregi e difetti per poter aiutarli a trasmettere il meglio di sé. Un buon insegnante deve essere autorevole ma deve anche avere un buon rapporto con i propri allievi”.

Tre aggettivi per definire Valsalice 

Calda, divertente e performante. Calda perché Valsalice è un ambiente molto accogliente. Divertente e performante perché si apprende molto divertendosi.

Redazione



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