Il pittore maledetto

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di Margherita Finello

È raro che venga denominato così, eppure è uno degli epiteti che meglio definisce la sua personalità e il significato nascosto dietro le sue tele: si tratta di Michelangelo Merisi, noto come “il Caravaggio” (dal nome del paese di origine dei suoi genitori), pittore italiano che visse e dipinse tra XVI e XVII secolo, nel passaggio tra Rinascimento e l’età barocca. Probabilmente fu colui che più influenzò la tradizione artistica a lui successiva, tanto che per tutto il Barocco sopravvisse una corrente chiamata caravaggismo.

Il Caravaggio è noto per aver introdotto un’importante novità pittorica nella cultura artistica dell’epoca: fu il primo infatti ad aver accostato al classicismo rinascimentale (i cui più celebri interpreti furono Michelangelo, Raffaello e Leonardo) una propria interpretazione naturalistica della realtà. Con termine naturalismo si intende una tecnica che conferisce alle scene rappresentate sulle tele un effetto teatrale, dove i soggetti sono illuminati da una luce quasi artificiale e circondati da uno sfondo buio; alle figure viene così conferito un rilievo scultoreo e l’attenzione dell’osservatore non può che soffermarsi su di loro e sulle azioni che stanno svolgendo, senza distrarsi a osservare lo sfondo.

Michelangelo Merisi nacque nel 1571 a Milano, dove sviluppò la sua vocazione per la pittura nella bottega di Simone Peterzano, esponente del tardo manierismo italiano. Lo stesso Caravaggio sarà profondamente influenzato dalla corrente manieristica (così definita dal contemporaneo storico dell’arte Giorgio Vasari), grazie alla quale gli artisti cinquecenteschi raggiunsero una perfezione formale e un ideale estetico di “bello” che superava ampliamente quello degli antichi (i canoni di Policleto e Lisippo), secondo il concetto per cui “bisogna imparare a ritrarre dal naturale”.

Negi anni ’90 del ‘500 si traferì a Roma e frequentò la bottega del Cavalier d’Arpino, conosciuto come Giuseppe Cesari, uno dei pittori più richiesti per le commissioni di opere da parte delle famiglie nobili romane, e fu ospite a casa del cardinale Francesco Maria del Monte, che divenne suo protettore e committente di numerosi dipinti.

Nel 1604-05, a causa del suo carattere iracondo, fu costretto a lasciare Roma, a seguito di una rissa conclusasi con l’omicidio del rivale. Trascorse gli ultimi anni della sua vita tra Napoli, Malta e la Sicilia; ottenuta la grazia papale di far ritorno a Roma, morì però prematuramente sulla spiaggia di Porto Ercole nel 1610, a 38 anni.

La causa della morte è ancora oggi un mistero per molti studiosi. Lo storico dell’arte Giovanni Pietro Bellori, di età barocca, nell’opera Le Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni afferma che il Caravaggio, partito dalla Sicilia, si fermò per qualche giorno di nuovo a Napoli, dove in un’ennesima lite fu ferito al viso da un colpo di spada. Arrivato a Roma, fu scambiato dalle guardie spagnole per un altro ricercato e venne imprigionato; tuttavia il malinteso fu presto chiarito e il pittore fu rilasciato dopo pochi giorni. Bellori riporta che proprio allora, “agitato miseramente da affanno e da cordoglio, scorrendo il lido al più caldo del sole estivo, giunto a Porto Ercole si abbandonò, e sorpreso da febbre maligna morì in pochi giorni”. Nel 2018 una ricerca condotta da investigatori scientifici italiani e francesi dell’istituto marsigliese l‘IHU Méditerranée Infection hanno confermato – tramite lo studio del DNA dei denti del pittore – che la causa dell’improvvisa morte fosse dovuta alla setticemia, un’infezione della ferita al volto.

Interessante osservare come le tele dipinte del Caravaggio fossero incessantemente riflesso della vita dell’artista: nei primi anni di soggiorno a Roma, durante i quali frequentò taverne e case di malaffare, realizzò opere come I Bari, tre personaggi ritratti mentre giocano d’azzardo, o La morte della Vergine, in cui la Madonna a causa dell’esasperato realismo assume le sembianze di una prostituta annegata nel Tevere; per questa ragione il dipinto venne rifiutato dai suoi committenti e considerato “irriverente”. Successivamente alla fuga da Roma per la condanna alla decapitazione, troviamo opere del Caravaggio quali La decollazione di San Giovanni Battista Davide con la testa di Golia che rappresentano perfettamente l’inquietudine e la paura dell’artista per la morte ponendo a soggetto proprio l’esecuzione capitale. O ancora durante l’adolescenza dipinse la famosa Canestra di frutta in cui mise in primo piano la mela bacata e un ramoscello appassito come rimando allegorico alla vanitas, la caducità della vita: poco prima erano morti numerosi suoi parenti a causa della peste.

Fu probabilmente la sua indole violenta nella realtà unita all’ambiguità dei personaggi ritratti nelle sue opere a conferirgli l’appellativo di “maledetto”. Negli anni successivi alla Controriforma cattolica, durante i quali la Santa Inquisizione giocava un ruolo tutt’altro che trascurabile, Caravaggio osò criticare la corruzione dilagante della Chiesa inserendo nei dipinti sacri personaggi profani e popolari, in netta opposizione al principio del “decoro” enunciato nel Concilio di Trento, che imponeva la rappresentazione di figure naturali ma belle. Per il pittore, il realismo della fisicità e delle emozioni dei personaggi rappresentati avevano lo scopo di coinvolgere l’osservatore e avvicinare il popolo ai temi religiosi: il Caravaggio voleva esaltare nelle sue tele tutti quei personaggi secondari che comparivano nei Vangeli per esprimere lo spirito più autentico della Controriforma, che prevedeva un ritorno alla povertà evangelica dei credenti.

All’epoca in cui visse, il pittore suscitò grande scandalo e riprovazione negli ambienti elitari della società – soprattutto quella romana – mentre venne riscoperto e valorizzato a partire dallo scorso secolo tanto che oggi al suo nome è affiancata una delle personalità più rappresentative per l’arte occidentale di tutti i tempi.

Redazione



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