Schola magistra vitae
In una società in continua evoluzione, dove il confine tra stabilità e cambiamento è del tutto evanescente, una delle ultime certezze rimaste è l’importanza del diritto all’istruzione.
L’obbligo della scolarizzazione primaria venne introdotto, nella maggior parte dei paesi occidentali, sin dagli inizi del XX secolo. Attualmente esso è un diritto fondamentale, ribadito dal trentaquattresimo articolo della Costituzione italiana, oltre che un dovere per i giovani fino al compimento dei sedici anni. Tuttavia, in numerose zone del Pianeta, tale diritto continua a non essere rispettato.
La formazione scolastica è essenziale nella crescita dell’individuo; se questa venisse negata l’uomo non sarebbe più un animale razionale, bensì un automa. È proprio questa la “ratio” utilizzata durante i totalitarismi: limitare e direzionare la conoscenza al fine di instillare nelle menti una determinata ideologia. Il primo quarantennio del Novecento ne è un chiaro esempio. Durante il governo fascista coloro che non erano iscritti al partito non potevano insegnare, e i programmi scolastici erano strutturati esclusivamente in base a quella ideologia. Risultava dunque impossibile per un ragazzo, con una identità critica ancora tutta da plasmare, sviluppare un pensiero differente da quell’unico che gli veniva inculcato.
La scuola risulta dunque imprescindibile per la totale formazione della persona e per la piena affermazione di sé.
Studiare insegna poi a parlare. Già per gli antichi Romani, saper utilizzare opportunamente la parola era ritenuto fondamentale per il buon cittadino. Cicerone, nella sua opera il “De Oratore”, affermava l’importanza dell’arte del dialogo; chi non sapeva utilizzare adeguatamente il linguaggio era infatti considerato meschino. Parlare bene è perciò utile per esprimere i propri giudizi e le proprie convinzioni, senza il rischio di incorrere in fraintendimenti.
La scuola educa inoltre il ragazzo ai rapporti umani. L’uomo è un animale sociale, non si può pensare estraneo a un consesso civile. Pertanto abituare gli studenti, già dalla tenera età, al rapporto con adulti e coetanei, si rivela un insegnamento eternamente utile. Infatti accade spesso che tra allievo e docente, o fra gli stessi ragazzi, si istauri un legame di fiducia e rispetto, di cui si conserva memoria per tutta la vita.
In tale contesto scolastico, dagli inizi del XXI secolo, si sono inserite le neonate tecnologie. Specialmente dopo la pandemia causata dal Covid-19, che ha forzatamente costretto tutti gli istituti scolastici alla didattica a distanza, le aule delle scuole sono sempre più caratterizzate dalla presenza di device elettronici. L’apprendimento si sta gradualmente modernizzando: non si conosce più tramite i testi scritti ma attraverso lo schermo di un computer. Questo processo non è da demonizzare, specialmente se considerato nel contesto attuale, sempre più volto alla scienza e all’informatica. Tuttavia è necessaria, da parte della scuola stessa, un’educazione all’utilizzo consapevole delle tecnologie. Esse possono agevolare molto insegnanti e studenti; tuttavia il loro impiego eccessivo e costante può portare l’individuo all’estraniamento da sé, facendogli credere di vivere in un mondo virtuale.
L’istruzione genera cittadini completi e responsabili, forgia persone oneste. La scuola insegna perciò a vivere.