La ragione ricerca se stessa
L’uomo è un sinolo indissolubile di corpo e capacità razionale. La corrente illuminista trovava infatti nella ragione il proprio cuore pulsante in quanto elemento nobilitante che permetteva all’uomo di esprimersi in tutte le sue potenzialità.
Quando questa entra in gioco, tuttavia, trascina con sé una serie di conseguenze inevitabili che ognuno di noi non può far altro che assecondare. Indagare costantemente, talvolta in modo ossessivo, la propria natura è certamente una di queste. Una volta portata a termine questa analisi, il secondo effetto è immediato: la ricerca della felicità. La storia della filosofia e il fatto che questa disciplina esista ancora oggi lo dimostrano. Proprio per questa ragione, a partire dalle prime colonizzazioni in America, si è radicata l’idea che gli uomini primitivi, gli indigeni siano i massimi esempi dell’ “arte della felicità”. Inconsapevolezza nei propri mezzi. Questo è il solo aspetto che rende la loro esistenza tollerabile. È opportuno però parlare di un’esistenza dominata esclusivamente dalla vuotezza e dall’incoscienza.
La vita è priva di uno scopo vero e proprio. L’Universo potrebbe sussistere anche se gli esseri umani non fossero presenti. Proseguirebbe indisturbato il proprio corso; non sarebbe certamente un’insistente presenza pronta a ricordarci di lasciare un segno indelebile sulla Terra. Ogni individuo può cercare però il proprio fine ed è proprio la profondità di questa ricerca a rendere un’esistenza felice o infelice.
Divertimento. Volgersi altrove. L’etimologia stessa del termine suggerisce la tendenza tipicamente umana ad indirizzare l’attenzione verso molteplici fronti, a passare di godimento in godimento. Ciò comporta dunque un inevitabile disinteresse nel porsi uno scopo lodevole, capace di conferire una dignità ontologica alla vita. Attorno a questo tema ruota infatti gran parte del pensiero di Blaise Pascal il quale, come Leopardi, non riesce a concepire come molti uomini possano vivere in maniera del tutto superficiale e disinteressata.
È pertanto necessario riempire questa vuota esistenza con un solo nobile fine da perseguire giorno dopo giorno: rendersi eterni. Per cimentarsi in questa ricerca è essenziale trovare risposte in se stessi, essere fermi nelle proprie decisioni, non omologarsi al pensiero comune. Vige infatti la legge del più forte, secondo cui soltanto gli esponenti più brillanti sono destinati ad emergere e dunque ad essere ricordati in eterno. Bisogna essere come una torre ferma quando il soffiare dei venti mette alla prova la sua cima. Ciascuno deve servirsi in primo luogo del più importante strumento di cui è a disposizione: la parola. Mezzo essenziale che modella e accompagna le nostre azioni e che ci ha permesso di affermare la nostra superiorità rispetto a qualsiasi altra specie vivente. La felicità deve quindi diventare sinonimo di humanitas. Rincorrere questo aspetto senza inutili distrazioni rappresenta certamente la più autentica indagine della felicità. Come Dante afferma, infatti, colui che è dominato da numerosi pensieri finisce per perdere di vista il suo obiettivo principale.
La ragione dunque non fa altro che cercare se stessa nel mondo.