Street art, quando il vandalismo diventa una forma d’arte
di Francesco Buzio
Dalla metà degli anni Settanta fino ad oggi, i muri delle periferie inizialmente solo statunitensi e poi quelle di tutto il globo hanno pian piano cominciato a colorarsi al ritmo dei suoni metallici delle bombolette spray scosse dai writers prima di iniziare uno dei loro lavori, più o meno legali.
I graffiti nascono come attività spontanea non autorizzata basata sulla scrittura del proprio pseudonimo spesso stilizzato utilizzando vernice spray o pennarelli sui muri delle città o sui treni. Questo fenomeno, che rappresenta uno dei quattro pilastri dell’hip-hop, nella stragrande parte dei casi si mantiene fedele alla sua origine illegale e sebbene le varie città adibiscano delle aree apposite per svolgere legalmente quest’attività (un esempio è il Parco Dora di Torino) molti vandali sfregiano muri di palazzi e luoghi pubblici che dovranno essere ripuliti a spese dello Stato.
Se le suddette “tags” o firme vengono svolte per soddisfare il semplice desiderio che tutti leggano il nome del graffitaro o un ancor più mero fascino dell’illegalità, dall’altra parte nel mondo della street art, in concomitanza coi graffiti vanno i murales, forma artistica riconosciuta che consiste in un dipinto realizzato su parete principalmente con vernice spray e altri oggetti utilizzabili anche per i graffiti.
Il più lampante esponente dell’arte di strada è l’inglese Banksy (pseudonimo, in quanto preferisce nascondere la propria identità) il quale dagli anni Novanta esprime idee satiriche e di protesta con la sua contraddistintiva tecnica dello stencil, che in parole povere consiste in un foglio da cui è stato ritagliato un disegno la cui parte vuota fa da guida al colore spruzzato con una bomboletta sulle varie superfici.
Le sue opere più celebri permettono di capire la visione del mondo dell’artista, eccone di seguito alcune.
La più famosa è indubbiamente la sua “Girl with baloon” (“la ragazza con il palloncino”): realizzata a Londra nel 2002 rappresenta una bambina che allunga la mano verso un palloncino simboleggia l’innocenza e la speranza; mentre “The flower thrower” (”il lanciatore di fiori”) è stato raffigurato per la prima volta sul muro che separa israeliani e palestinesi a Gerusalemme nel 2005 e consiste in un atipico guerrigliero con cappellino da baseball, volto coperto a metà e sguardo orgoglioso che anziché lanciare una bomba Molotov scaglia un mazzo di fiori esprimendo un messaggio di pace in un territorio così tanto dilaniato dai conflitti.
Inoltre, spesso la street art è riuscita a dare voce a chi non ne aveva, rappresentando parti della popolazione emarginate e ghettizzate: ne è un esempio lampante il lavoro del collettivo di writers berlinesi 1UP su una delle Vele di Scampia, quartiere napoletano tristemente conosciuto per essere una delle piazze di spaccio più grandi d’Europa e sede della Camorra. I graffitari hanno utilizzato un’intera facciata per scrivere di fianco alla loro enorme tag la scritta “Non siamo noi il problema” voluta dagli inquilini delle case popolari che si sono trovati intrappolati in quella triste realtà nella quale non si identificano e che condannano.
Dunque, aldilà dell’inaccettabile vandalismo, è bene saper riconoscere le forme d’arte meno convenzionali come quelle citate nelle righe precedenti che riescono a schierarsi dalla parte degli ultimi elevando così un semplice muro a vero e proprio giornale del popolo.