Non eri ebrea finché Hitler non ti ha resa tale
di Federica Garis
“Non sono stata invitata. Eleanor dice che sua nonna glielo ha proibito.”. “Sua nonna nemmeno ti conosce.” “Sa che sono ebrea. Lo so che cosa ripeti sempre: non eri ebrea finché Hitler non ti ha resa tale. Ma non è così che la vedono gli altri.” Dunque era così che si era discriminati in America. Niente rastrellamenti, niente campi, semplicemente trattavano i figli dei “diversi” con subdola crudeltà.
Il passo appena letto è tratto dal libro di Ellen Feldman “Parigi non dimentica” in cui due emigrate francesi ebree in America, Charlotte e Vivianne Foret, scoprono che, pur lontane dalla guerra e dalla deportazione presente in Europa, un’infida linea di pregiudizi e di antisemitismo abita anche oltreoceano. La causa del loro passato che vogliono lasciarsi alle spalle intriso di terrore che torna a tormentarle. Questo razzismo implicito però non ha più il volto di un nazista ma è la voce di un amico/a a cui viene inculcato da i genitori e i nonni l’idea che essere di una razza diversa o frequentare persone aventi diversa disponibilità economica non è un bene. Come suggerisce la citazione, questi preconcetti finiscono per escludere la gente “diversa” con una subdola crudeltà.
Ogni generazione parla di quanto la società sia cambiata rispetto alla precedente riguardo ai pregiudizi e alla chiusura mentale, rispetto alle novità e alle resistenze che si trovano. A dire il vero le società di ogni tempo sono sempre state chiuse, poco aperte al cambiamento. Lo racconta anche Terenzio che prova con la sua opera intitolata “Hecyra” e i suoi scavi psicologici a trasmttere un messaggio morale. Il commediografo vuole rompere gli schemi, fare qualcosa di diverso facendo riflettere il pubblico con il personaggio di Bacchide, una prostituta che nella commedia è l’elemento che riesce a risolvere la situazione problematica che si era creata tra il giovane Panfilo e la promessa sposa Filumena. Le parole Terenzio suggeriscono un suo affettuoso apprezzamento riguardo ad una figura che nella società è emarginata e screditata da tutti. Con questo testo l’autore vuole superare i preconcetti che si sono formati per mostrare che un solo aspetto non delinea l’individuo interamente, non è sufficiente un unico ambito per definire se è adatta o accettabile.
Molti altri scrittori dopo Terenzio hanno riflettuto su i pregiudizi. Un chiaro esempio lo vediamo in Sciascia che scrive “Uno di quei settentrionali con la testa piena di pregiudizi, che appena scendono dalla nave-traghetto cominciano a veder mafia ovunque”. Tutti questi “preconcetti” di cui parla l’autore sono “fabbricati” dalla paura di non essere accettati, considerati, amati. L’uomo cerca il riconoscimento di quelli che crede simili a sé per integrarsi e sentirsi apprezzato e si escludono gli altri in maniera esplicita o implicita tramite bugie, verità parziali o pregiudizi che screditino gli altri.
Questi meccanismi che vengono creati dall’uomo non sono mai positivi e anzi logorano le persone che sono oggetto di discriminazione, perché si sentono tagliate fuori e a volte persino odiate dagli altri. Si innesca così un circolo vizioso per cui chi è discriminato ha ancora più paura di aprirsi perché non vuole essere deriso, ferito; così si chiude in se stessi per evitare che si accumulino ulteriori pregiudizi che poi logorano ciascuno mentalmente e psicologicamente. In realtà, se conosciamo le persone a tutto tondo o quantomeno in modo meno superficiale ci accorgiamo spesse volte di quanto il pregiudizio fosse errato e ci impedisse di entrare in relazione con la persona.