Piccoli calciatori (non) crescono
di Francesco Buzio
“In Italia non cresce più il talento. Anzi, si è smesso di coltivarlo”, tuona Matteo Pinci di Repubblica in relazione alla carenza di calciatori italiani estrosi, causa additata per la mancata qualificazione al Mondiale in Qatar fra pochi mesi.
Effettivamente è sotto gli occhi di tutti gli amanti del pallone che da più di 10 anni il Belpaese ha cresciuto pochi calciatori di classe lasciandosi sopraffare da vie più semplici per ottenere un successo a breve termine; questo concetto è sostenuto dall’attuale tecnico del Napoli Luciano Spalletti il quale reputa che un buon settore giovanile non è tale per il numero di tornei vinti ma per i calciatori a cui permette di raggiungere a il “livello giusto per aiutare il calcio nazionale“.
Dunque è ovvio che le radici del problema si debbano scovare nelle scuole calcio: secondo alcuni il problema delle squadre giovanili risiede nella sete di vittoria degli allenatori che ad esempio preferiscono lanciare in campo ragazzi con un fisico più prestante piuttosto che lavorare a lungo termine con altri più minuti; oppure annebbiati dalla presunzione inzuppano i ragazzi in complessi moduli e tattiche di gioco così compromettendo irrimediabilmente la creatività tecnica dei ragazzi che restano imbrigliati in queste rigide reti imposte e si limitano a svolgere la piccola mansione per cui il “mister” li ha catechizzati. Oltre a ciò, questi ultimi sono ormai soliti applicare la sopracitata pratica a ragazzi sempre più piccoli e spesso non si preoccupano neanche di avergli precedente insegnato basi tecniche necessarie per poter mettere in atto qualsiasi schema tattico. Si aggiunga poi che in molte società ci sono stage tecnici a pagamento, una sorta di “ripetizioni private” per colore che vogliono affinare la tecnica. Come se il tocco di palla, il dribbling, il controllo fosse un di più. E non tutti possono (o vogliono) intraprendere questa via.
Horst Wein, allenatore tedesco che ha ispirato il metodo del fiorente settore giovanile del Barcellona (la “Cantera”) con questa frase racchiude il pensiero citato nel paragrafo precedente: “Un tecnico che vince tutto con i giovani non ha lavorato per il futuro dei suoi allievi, ma per il proprio”.
Inoltre, a detta di altri come l’ex difensore di Napoli e Parma Fabiano Santacroce, nelle squadre giovanili è forte il fenomeno dei favoritismi nei confronti dei figli di allenatori o dirigenti, fattore che inevitabilmente grava sulle spalle di potenziali campioncini a cui non viene semplicemente dato lo spazio necessario per dimostrare il proprio valore.
Infine, un altro problema di questi ambienti ormai saturi di pressioni inutili è rappresentato dalle pretese e le ambizioni di molti dei genitori dei piccoli calciatori su cui riversano i loro sogni infranti. In questo modo i ragazzi devono farsi carico non solo delle aspettative proprie e dell’allenatore ma anche di quelle di coloro che dovrebbero essere i primi a confortarli e fornire un esempio sano dando allo sport l’importanza che merita di avere a quell’età. Peraltro, chiunque frequenti o abbia frequentato negli ultimi anni dei campi di calcio giovanile si sarà probabilmente imbattuto in imbarazzanti liti tra genitori e allenatori o, ancor peggio, con altri genitori: queste grottesche circostanze rappresentano l’emblema dell’ambiente marcio che sono i campetti di provincia e non solo.
Possiamo affermare dunque con sicurezza che se l’Italia ha smesso di sfornare talenti calcistici come un tempo la colpa è principalmente dell’ambiente che avrebbe questo compito ma al contrario si è trasformato in una spietata mietitrebbia per la passione e il divertimento favorendo invece competitività e tensione.