La tomba di Lenin: quando un impero cade e la storia si ripete

Durante il Salone Internazionale del Libro di Torino, abbiamo avuto la possibilità di partecipare a un incontro molto suggestivo che ha avuto come protagonista La tomba di Lenin, il reportage di David Remnick che racconta la dissoluzione dell’Unione Sovietica attraverso una serie di ritratti, interviste e storie di uomini e donne travolti dalla Storia. A discuterne tre voci d’eccezione: Carlos D’Ercole, Ezio Mauro e Owen Matthews, ognuno con uno sguardo lucido e personale su uno dei momenti più critici del Novecento e sulle sue ripercussioni nel presente.
Remnick visse in prima persona quegli anni, come corrispondente del Washington Post a Mosca tra il 1988 e il 1992. La tomba di Lenin è una cronaca vivace, una narrazione sociologica, ma anche un romanzo del reale che cattura il momento in cui un intero impero si scioglie, lentamente e drammaticamente. Remnick descrive la transizione con grande attenzione: c’è ancora Andrej Sacharov, ci sono i primi boss mafiosi che iniziano a emergere, ci sono le illusioni e le tensioni. Il libro corale, incluso in questa edizione italiana per la prima volta, completa un quadro denso di storia e umanità. Secondo Remnick, quella fu “l’ultima generazione d’oro” del giornalismo sovietico: reporter capaci di raccontare senza più il terrore di mettere in pericolo la libertà o la vita di qualcuno. Un periodo irripetibile.
Ezio Mauro ha raccontato di essere stato anche lui a Mosca in quegli anni, come corrispondente. Gorbachev, racconta, era distante, quasi inavvicinabile, se non durante eventi ufficiali. Eppure, quando Mauro divenne direttore de La Stampa, ebbe modo di conoscerlo e collaborare con lui. Gorbachev aveva una visione positiva dell’Italia, la considerava un Paese affascinante. Ma, come ha sottolineato Mauro, la percezione dei russi verso Gorbachev era completamente diversa: lo odiavano, perché aveva acceso speranze inaspettate, e poi le aveva infrante. Una figura tragica, travolta dagli eventi che non riuscì più a controllare.
Carlos D’Ercole ha aggiunto che La tomba di Lenin è un libro che parla di memoria e rimozione. Il corpo imbalsamato di Lenin non è solo un residuo storico, ma un simbolo di un passato che non vuole morire. La Russia post-sovietica non ha mai elaborato veramente la fine dell’impero: è rimasta sospesa, nostalgica e ferita.
Il momento più attuale è arrivato con Owen Matthews, che ha tracciato un parallelo diretto tra quegli anni e l’oggi. “Il cuore dell’ambizione che c’era allora c’è anche oggi”, ha detto. Secondo lui, Putin è il prodotto del risentimento di una generazione intera, che ha vissuto la fine dell’URSS come un’umiliazione. Se per l’Occidente Gorbachev è un riformatore, in Russia è considerato un traditore. Putin ha usato questa frattura identitaria per costruire il suo consenso. Ha riportato la Russia in alto, almeno inizialmente dal punto di vista economico, grazie soprattutto al petrolio. Ma ora, anche lui si trova in un momento di crisi, con una guerra devastante e un’economia in affanno.
“La guerra in Ucraina è l’atto finale dell’Impero russo”, ha dichiarato Matthews, sottolineando come la storia sembri ripetersi. Putin vuole restaurare l’autorità e la centralità geopolitica della Russia, riportandola al suo presunto splendore imperiale. Secondo Mauro, uno degli errori più grandi dell’Occidente fu pensare che, dopo la fine dell’URSS, la Russia sarebbe diventata una semplice “potenza regionale”. Ma Putin ha sempre puntato più in alto. Per lui, il comunismo è stato un ostacolo allo sviluppo economico, ma rimpiange la tecnica del potere sovietica: quella struttura ideologica e quel controllo verticale che davano forza e coesione all’autorità dello Stato.
Mauro ha parlato di un vero e proprio “patto autoritario” tra il Cremlino e il popolo: un patto che si basa sulla valorizzazione della grandezza russa, sull’interpretazione gloriosa del passato, e su un’idea di nazione potente e centrale. Ma la realtà è più complessa, e forse più amara: come la caduta dell’URSS non fu una liberazione felice, così anche il presente si tinge di disillusione.
L’incontro si è concluso con una riflessione condivisa: La tomba di Lenin non è solo un documento storico, ma una lente attraverso cui leggere il presente. Comprendere il passato, ha detto Matthews, è l’unico modo per non subirne di nuovo le conseguenze. Perché la storia, in Russia, sembra non finire mai: cambia solo forma.