Natale a Valsalice
di Samuele Savino e Edoardo Usai
La sera di venerdì 13 si terrà a Valsalice “Aspettando Natale”. Per l’occasione abbiamo intervistato il direttore don Alessandro Borsello, che ci ha parlato sia del Natale qui a Valsalice, che, in generale, del significato di questa festività.
“Aspettando Natale” è una tradizione di lunga data qui a Valsalice. Come, quando e con che scopo è nata?
È tradizione in tutte le case salesiane organizzare qualcosa con i ragazzi per festeggiare il Natale. Quando i numeri erano più contenuti, si organizzavano delle serate in teatro, poi ci si è accorti che non ci si stava tutti ed è nata l’idea di inscenare un mercatino di Natale in cortile. Non so esattamente da quanto si tenga in questa forma, credo una ventina d’anni.
“Aspettando Natale” a Valsalice ha due obbiettivi, oltre al divertimento della festa in sé: vogliamo ricordarci che “Natale” non significa solo regali e luci per la città, ma è una festa cristiana. Inoltre vogliamo fare qualcosa per gli altri, infatti mentre mangiamo e ci divertiamo raccogliamo anche fondi da destinare in beneficenza.
A chi è destinato quest’anno il ricavato della lotteria e della serata?
I destinatari sono due: Casa Ugi e un centro gestito dalle suore del cottolengo in Kenya.
Casa Ugi sostiene i ragazzi in cura presso l’ospedale Regina Margherita e le loro famiglie, non tanto dal punto di vista sanitario in senso stretto, ma per quanto riguarda tutto ciò che ci sta intorno. Tra le varie cose, per esempio, si occupa di trovare case in affitto ai genitori dei ragazzi che vengono da lontano perché c’è bisogno di cure specifiche che si trovano solo qui.
Con il secondo centro, invece, ha lavorato personalmente don Alessandro Basso quest’estate in missione a Nairobi. Accolgono bambini e ragazzi orfani o i cui genitori sono malati di AIDS. Il Kenya è uno di quei paesi dove purtroppo lo stato sociale è un po’ più leggero e iniziative come questa non ricevono molti fondi pubblici, dunque sono costretti ad affidarsi quasi completamente alle donazioni e noi, come Valsalice, abbiamo deciso di dare il nostro piccolo contributo.
“Aspettando Natale” è un evento molto atteso da noi ragazzi anche perché siamo direttamente coinvolti nell’organizzazione, soprattutto tramite la rappresentanza d’istituto. In che cosa, di preciso, interviene la struttura della scuola e che cosa, invece, è lasciato agli studenti?
Ai ragazzi spetta la gestione dei mercatini, che è il cuore della festa. I rappresentanti di istituto si sono occupati di coordinare le singole classi, ognuna della quali gestisce una bancarella, per assicurarsi che non ci siano sproporzioni tra cibo, bevande e giochi. La scuola si occupa della parte tecnica: laddove è necessario un allaccio alla corrente o di del materiale specifico lo forniamo noi, ma la festa dev’essere un’occasione per i ragazzi di costruire qualcosa di bello per sé stessi e gli altri.
Adesso una curiosità: come festeggia il Natale vero e proprio la comunità salesiana di Valsalice?
Valsalice non è una parrocchia, quindi non si celebrano le messe domenicali; i confratelli sacerdoti, come me, tutte le domeniche e le altre festività vanno ad aiutare a celebrare messa in varie parrocchie di Torino e dintorni. Questo succede anche a Natale.
Poi, però, si torna tutti qui per vivere insieme il pranzo di Natale, perché, come dice un vecchio detto: “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, e noi lo viviamo proprio in questo senso, “con i tuoi”, cioè “con la tua comunità”. Festeggiamo il Natale con un pranzo tra confratelli, perché questa per noi è Casa.
Dopodiché, ovviamente, non è che quando si diventa salesiani si tagliano tutti i ponti con la famiglia: molti di noi vanno a trovare i propri parenti sotto Natale, ma non proprio il 25 dicembre, quel giorno si dedica ai confratelli.
Come è stato il suo primo natale a Valsalice?
Più che il mio primo Natale, quello che più mi piace ricordare è il mio primo “Aspettando Natale”, una cosa nuova per me. Mi ricordo che il giorno prima aveva nevicato come raramente accade e il cortile, in cui si sarebbero dovute allestire le bancarelle, era pieno di neve. Passavano in viale Thovez molti trattori spargisale e io mi ero messo in mezzo alla strada cercando di fermare qualcuno per chiedergli se potesse entrare a ripulirci il cortile. Purtroppo hanno tirato tutti dritto, di certo già oberati di lavoro. Per fortuna siamo riusciti a contattare i signori che vengono a potarci le piante, che hanno dei trattori, e venerdì mattina ci hanno tolto il grosso. Prima di montare i gazebo abbiamo tolto a palate l’ultima neve e per fortuna siamo riusciti non rimandare la serata.
E la prima comunità salesiana come festeggiava il Natale?
Al tempo di Don Bosco, le case salesiane erano collegi (Valsalice stessa lo è stata fino a una quarantina di anni fa). Non tutti i ragazzi si fermavano per Natale, chi aveva una famiglia da cui tornare ci andava, ma con gli altri il Natale veniva sempre vissuto in forma familiare.
La ricorrenza più cara ai salesiani dal punto di vista storico in realtà è la Pasqua, perché quella del 1846 fu la prima festività che Don Bosco e i suoi celebrarono insieme in un posto tutto per loro che erano finalmente riusciti ad ottenere per le attività con i ragazzi.
Concludiamo con una domanda un po’ più “filosofica”: che ruolo ricopre il Natale, secondo lei, nella società di oggi?
Il Natale si sta indubbiamente svuotando del significato religioso, ma non sta certo scomparendo, questo, secondo me, perché la nostra società, in generale, si basa molto sull’aspetto simbolico. Nel Natale di oggi sopravvivono saldamente due aspetti centrali anche nel Natale cristiano: le luci, che oggi facciamo colorate e lampeggianti, e lo scambio di regali.
San Giovanni Evangelista ci parla del Natale come dell’avvento della luce salvifica nel mondo. La società di oggi, anche se magari non avverte tanto il bisogno di religiosità, avverte certamente la necessità di una luce di speranza difronte alle tenebre, alle guerre che fanno sempre più paura, agli equilibri che saltano, per cui quello di adornare case e strade con le luci è un simbolo che resta. Questa luce, cristianamente, arriva dal di fuori, perché l’umanità non può salvarsi con le sue sole forze, ma ha bisogno di un dono. Proprio questa è un’altra tradizione del Natale che sopravvive: ci si scambiano dei doni, cioè cose che da soli non avremmo potuto ottenere, o che assumono un valore per noi che non avrebbero potuto avere se ce li fossimo comprati da soli.
Quest’aspetto rimane ancora nel Natale al giorno d’oggi secondo me, infatti molta gente che non va normalmente alla messa domenicale, ci va però a mezzanotte a Natale, anche se in teoria è un orario più scomodo, perché l’idea simbolica di andare a cercare al luce nel momento più buio della notte è viva nelle persone.