Moda e tessuti, le ultime innovazioni scientifiche
L’industria della moda è fra i maggiori fattori causanti l’inquinamento. Secondo i rapporti del Parlamento Europeo, aggiornati a marzo di quest’anno, si calcola che sia responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio e che il solo lavaggio di capi sintetici rilasci ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari.
Fibre, tessuti, abiti, collezioni. La moda ha da sempre accompagnato il percorso della storia umana cambiando insieme ad essa, seppur causando notevoli danni all’ambiente circostante per via dell’utilizzo di materiali poco costosi, efficaci e al tempo stesso inquinanti. Il cinismo consapevole di cui il settore dell’abbigliamento si è reso responsabile nel corso del tempo, incrementato dal fenomeno della fast fashion, sta cedendo il passo a nuove rivoluzionarie politiche, impegnando brand e produttori tessili verso un nuovo fronte sostenibile.
Spinte dalle normative restrittive degli ultimi anni nei confronti dell’utilizzo di materiali pericolosi impiegati nell’industria tessile, il settore della moda, grazie all’ausilio della scienza, ha iniziato ad elaborare nuove strategie. Creare vestiti nuovi riciclando quelli vecchi comporta elevati costi e talvolta un notevole impatto ambientale: le fibre riutilizzate, approssimativamente intorno all’1% di quelle recuperate, sono corte e danneggiate, costringendo i produttori ad unirle a nuovi tessuti.
La soluzione più efficace si trova nello studio impiegato verso la fabbricazione di stoffe alternative.
Moquette, plastica industriale, reti da pesca. Dai fili di nylon provenienti dalle discariche è possibile creare il cosiddetto Econyl, riciclabile, lavorabile all’infinito, a minore impatto ambientale, con le stesse caratteristiche del materiale originario. La ricerca e lo sviluppo del prodotto è da attribuire a Giulio Bonazzi, presidente dell’azienda Aquafil, distributore mondiale di poliammide 6, particolare tipo di nylon.
La fibra lanital, già presente nel 1937 quando fu inventata dal chimico italiano Antonio Ferretti e commercializzata come filato autarchico sotto il regime fascista, viene prodotta dagli scarti alimentari del latte, attivando un processo di riciclo ecologico in grado di trasformare la caseina in fibra. Classificata come “proteica”, oltre all’avere struttura molecolare simile alla lana, possiede caratteristiche molto vicine a quelle di quest’ultima: morbidezza, calore, voluminosità. Nel dopoguerra, nonostante le ricercate migliorie del prodotto, la lanital fu tolta dal mercato per lasciare spazio allo sviluppo di fibre chimiche come l’acrilico. Negli anni 2000 torna nelle case degli italiani per le qualità anallergiche adatte agli articoli per la prima infanzia.
Nel 1883 fu brevettato dal francese Chardonnet il processo per produrre la viscosa dalla cellulosa; dal 1925 qualunque fibra sintetica prodotta con questa materia prima viene definita rayon, suddivisa successivamente dalla Federal Trade Commission, agenzia governativa statunitense che promuove la tutela dei consumatori, in due categorie: il vero e proprio rayon se costituito da pura cellulosa, l’acetato se da un suo composto. Il cosiddetto Tencel Lyocell [vedi immagine sottostante] è l’ultimo derivato del primo sottogruppo, prodotto nel 1988 e il quale brevetto viene acquistato dall’azienda austriaca Lenzing. Dalla polpa di legno degli alberi di eucalipto principalmente piantati in foreste sostenibili, o dai faggi nel caso della sua variante chiamata Modal, questo tessuto ecologico viene prodotto senza l’utilizzo di solfuro di carbonio, presente inizialmente nei processi del rayon causando danni permanenti ai lavoratori. Il circuito chiuso nella gestione della lavorazione assicura il riutilizzo dei prodotti chimici direttamente nel processo senza immissioni materiali nell’ambiente.
Muskin è un progetto dell’azienda fiorentina Zero Grado Espace che ha portato sul mercato un tipo di pelle vegetale ricavato da un particolare fungo, trattato senza l’impiego di sostanze inquinanti come nel caso della pelle animale. Non commestibile, questo organismo poliporo chiamato Fomitiporia ellipsoidea, originario delle foreste subtropicali, ricava nutrimento dal tronco degli alberi provocando un profondo marciume. Viene così prodotto da esso un nuovo tessuto con proprietà isolanti a livello termico, traspiranti, idrorepellenti, atossiche, limitanti la proliferazione dei batteri.
Cinque ragazze, l’Indonesia e un grande sogno: dai rifiuti liquidi della soia alla realizzazione di una nuova ecopelle. A differenza dei tradizionali tessuti presenti sul commercio e derivanti da questa pianta asiatica, la produzione non parte dalla pianta intera, andando ad incrementare gli sprechi alimentari, ma attraverso un processo a basso impatto ambientale. Gli scarti liquidi vengono fatti bollire con aceto, zucchero e fertilizzante di urea, concime organico a base di azoto; la risultante viene unita ad un batterio produttore di cellulosa, ricavato dalla fermentazione dell’acqua di cocco, per poi essere conservata lontana da fonti luminose. Sulla stessa onda vengono create in altre parti del mondo pelli ecologiche ricavate dall’ananas o dagli scarti della produzione delle mele e del vino.
Sviluppato dalla startup italiana Anemotech, grazie a nano molecole attivanti, il tessuto tecnico The Breath cattura atomi inquinanti disgregandoli definitivamente. Dal settore dell’automotive e della moda fino alla puericultura e ai passeggini per neonati, questo materiale è applicabile a qualsiasi tipo di indumento o oggetto col fine di ridurre drasticamente le particelle tossiche assunte quotidianamente, sia per la tutela della persona stessa che per la miglioria verso un ambiente più pulito. L’ultima versione di questo filamento ha una caratteristica aggiuntiva mirata all’assorbimento di virus creando un innovativo tessuto antivirale.
Anche se non sfruttata direttamente nel settore tessile e frutto di un progetto tra le Università di ingegneria sanitaria, scienze tecnologiche e biomediche di Cagliari e l’azienda sarda Edizero, tramite la sua linea di materiali per la bioedilizia in pura lana, la Geolana è stata sviluppata in modo da assorbire gli idrocarburi petrolchimici e composti azotati deleteri contenuti nelle acque, incanalando al suo interno microrganismi marittimi degradanti le sostanze inquinanti.
Le innovazioni non sono visibili esclusivamente all’interno delle industrie che mirano alla ricerca di nuovi tessuti eco-compatibili, ma lentamente anche le case di moda stanno attuando piccole riforme. Stella McCartney ha lanciato, grazie alla sua etichetta di lusso, una linea di capi e accessori prodotti con poliestere riciclato, cashmere rigenerato, altre fibre naturali e sintetiche, senza derivati animali. La stilista Mara Hoffman e il brand statunitense Patagonia hanno utilizzato fibre di econyl nella creazione delle loro collezioni.
Piccoli esempi che mostrano come uno dei settori più richiesti dai consumatori sia in grado di applicare modifiche, cambiando quella che era la consuetudine nella produzione di capi e tessuti, riducendo l’impatto ambientale e talvolta favorendo la riduzione dell’inquinamento ambientale e marino.