Lobina, creatività e comunicazione al Wired Next Fest
Creatività, intraprendenza e quelle che oggi definiremmo sovrane tra le soft skill, come abilità comunicative, problem-solving e attenzione al dettaglio; l’insieme di tutto questo prende il nome di Virginia Lobina, ex allieva di Valsalice con laurea triennale in Filosofia e Master in Comunicazione per le Industrie Creative, oggi digital marketing consultant, termine ampio, ma non abbastanza da racchiudere ciò che Virginia realmente è: una continua fusione di competenze nell’ambito del digitale, della comunicazione e della fotografia.
L’abbiamo intervistata al Castello Sforzesco di Milano in occasione del Wired Next Fest, di cui è organizzatrice, occupandosi nello specifico della relazione con i 29 sponsor che permettono al festival di essere gratuito attraverso i loro finanziamenti.
Uno è il fil rouge che intreccia le risposte di Virginia con il suo modo di essere e in generale con l’aria respirata nell’intero festival: la curiosità.
Quella di quest’anno non è la prima edizione del Wired Next Fest, come sono state le edizioni precedenti? Ci sono stati grandi successi o errori che hanno contribuito alla produzione di questa nello specifico?
Uno dei cambiamenti più immediati è stato quella della location. L’anno scorso ci trovavamo alla Fabbrica del Vapore, una sede più defilata rispetto a quella di quest’anno. Non che avesse meno afflusso di spettatori, ma era sicuramente difficile da raggiungere; l’idea quindi per la ricerca della location di quest’anno era quella di individuare un luogo che fosse significativo per la città di Milano, ma sicuramente più comodo per tutti. Per questo abbiamo scelto il Castello Sforzesco. In termini più ampi per i prossimi anni abbiamo l’obiettivo di trovare a Milano una base stabile in cui tenere tutte le future edizioni.
In Italia il Wired Next Fest oltre a Milano si trova anche a Rovereto e Firenze. Quanto cambia il taglio del festival da una città all’altra?
Ogni festival si adatta alle persone che ci sono e che lo frequentano. In Trentino ad esempio c’è molto più movimento nell’ambito tecnologico e delle startup, a Milano è più imprenditoriale mentre a Firenze chiaramente culturale. In base a questo non solo cambia la comunicazione, ma la produzione stessa dell’evento. Infatti anche dal punto di vista redazionale si cerca sia di chiamare ospiti più pop e conosciuti dal grande pubblico che persone più di nicchia. Uno solo è però il direttore artistico, Emiliano Audisio, che si occupa di definire il titolo e l’abstract di tutti i talk.
C’è un target specifico?
Il pubblico di Wired è tendenzialmente gente interessata ad attualità, economia, tecnologia, politica e innovazione. Spesso si tratta di un target maturo, mentre i giovani per adesso ancora non si approcciano con così tanta facilità. Il nostro obiettivo in generale è da una parte quello di intercettare persone curiose, dall’altra incuriosire.
Sentiamo parlare continuamente di tech e digitale. Si tratta di una semplice tendenza o di una necessità?
Ogni situazione storica cerca di capirsi il più possibile, chiaramente è più facile farlo dopo. Tendenzialmente le cose che succedono oggi le capiremo fra dieci anni. Si parla di tecnologia in parte perché ne parlano tutti, questo è vero, ma cerchiamo di farlo con uno sguardo critico; se ci sono situazioni positive vengono messe in luce, se ce ne sono di negative anche. L’obiettivo di Wired è quello di costruire il futuro, di metterne le basi. Il codice stradale è nato dopo l’invenzione della macchina, la nostra idea è la stessa: conoscere la tecnologia per capire come comportarsi di fronte ad essa. Wired vuole costruire una consapevolezza tecnologica, in termini di innovazione.
L’aver studiato Filosofia ha in qualche modo contribuito al tuo percorso professionale?
Io sono molto felice di aver studiato Filosofia, alla fine una buona parte del lavoro si impara lavorando quindi è quasi più utile avere capacità trasversali come l’essere pronti al problema, all’imprevisto. Il valore aggiunto della Filosofia è proprio questo: da una parte imparare a farsi domande e mettere in dubbio le cose, dall’altra trovare soluzioni nuove per risolvere questi problemi. Dà un’impostazione mentale alla risoluzione delle complessità, stimola la curiosità.
Secondo che cosa definiresti un Wired Next Fest riuscito?
Sicuramente a determinare il successo di un evento è il numero di partner, di investimento e di budget che si riesce a recuperare, ma molto più di questo c’è l’individuazione di qualcosa che va comunicato prima ancora che sia evidente a tutti.
La sfida è quella di trovare persone, concetti e idee che diano valore aggiunto e che possano crescere.