Everest, la montagna violentata

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di Greta Bruno

“Everest” è un thriller avventuroso del regista Islandese Kormakur, uscito nelle sale cinematografiche nel 2015, che scuote gli animi e fa riflettere sul delicato rapporto tra uomo e natura.

Panorami grandiosi e la vetta più alta del mondo, l’Everest appunto, caricano lo spettatore di suggestioni e sensazioni contrastanti: da un lato la bellezza della montagna e dall’altro la paura di superare i propri limiti e di infrangere la perfezione dei meccanismi naturali.

Il film, che vanta un cast stellare, documenta le difficoltà del viaggio di diverse spedizioni che si accingono a raggiungere la cima dell’Everest. L’“Adventure Consultant” è l’organizzazione che istruisce, allena e coordina un gruppo di persone che vuole coronare il proprio sogno affrontando l’impervia scalata. Al campo base, punto di partenza per la cima, un’altra spedizione commerciale guidata dall’alpinista Scott, interpretato da Jake Gyllenhall, con numerosi altri turisti affolla la montagna.

Le immagini dei monti brulicanti di uomini polemizzano sulla globalizzazione dei viaggi che non rispettano la natura e i popoli, sulla sparizione del romanticismo che accompagnava le imprese eroiche degli sportivi: la pratica dell’alpinismo ha una sua logica e una sua preparazione specifica che le masse non conoscono e non rispettano. Il regista svela un paesaggio fatto di lattine schiacciate e turisti mal vestiti distruggendo in questo modo l’immagine dello scalatore sportivo e contemplativo.

La scarsa preparazione dei clienti delle varie organizzazioni e la scadente coordinazione ritardano la partenza delle spedizioni; Rob, titolare dell’Adventure Consultant, e Scott decidono di collaborare e fissano una data di partenza comune. Lungo la scalata avvengono numerosi imprevisti: molti clienti si trovano in difficoltà, mancano scorte di ossigeno e corde per attraversare crepacci e l’arrivo in vetta subisce un notevole ritardo. Malauguratamente una tempesta è in arrivo e le vicende dei protagonisti si incrociano in un dramma comune: il freddo, il ghiaccio, i crepacci, il buio, tutto è avverso al destino dei turisti.

La tensione nello spettatore sale insieme alle nubi della tempesta e lo avvolge in un turbine di dialoghi affannati e d’immagini cupe.

Il film centra un tema tristemente attuale, quello del turismo in montagna, ormai diventato di massa. L’Everest rappresenta la natura, potente e incontrollabile, che spesso gli uomini vogliono piegare ai loro desideri e alle loro necessità. Ma ciò non è possibile, l’unico modo per affrontare la montagna è l’umiltà di sapere che la sua maestosità non è sola estetica, ma è la sua essenza stessa.

Il regista, infine, mostra quel turismo che segue pure e semplici regole commerciali capaci di illudere anche i più inesperti di poter compiere imprese eroiche e azzardate.

 

Redazione



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