Il giorno della civetta

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Il giorno della civetta è probabilmente il romanzo più famoso dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia ed è sicuramente un romanzo d’attualità, che tratta la tematica della mafia. Il titolo è tratto dunque dal fatto che un tempo la mafia agiva di nascosto come un animale notturno, da qui la civetta, mentre oggi, dato il grande potere che ha ormai assunto, agisce alla luce del giorno.

Siamo in Sicilia, in un piccolo paesino. L’imprenditore Salvatore Colasberna appena sceso dall’autobus viene assassinato. Tutti scappano e rimangono l’autista e il bigliettaio che rispondono in modo vago ai carabinieri che vanno sul posto per le indagini. Il caso viene affidato ad un uomo proveniente da Parma, il capitano Bellodi, un carabiniere ambizioso ed onesto e farebbe di tutto per fare giustizia. I presunti colpevoli vengono scovati e processati ma il processo finisce con un ambiguo proscioglimento dalle accuse. Questo però non scoraggia il capitano Bellodi poiché, anche se deve tornare a Parma, dice che sicuramente farà ritorno in Sicilia per combattere le prepotenze di questi criminali e quindi per fare giustizia.

Con il termine “mafia “ si intende un’organizzazione retta dalla legge dell’omertà e della segretezza, di criminali dove tutti si proteggono a vicenda . Come dice Sciascia è anche una sorta di borghesia poiché non tutti ne possono fare parte e coloro che ne partecipano puniscono i “nemici” (i buoni, cioè la giustizia) , coloro che si mettono contro.

Nel giorno della civetta la mafia non è rappresentata come un’organizzazione criminale, ma come un sistema che manovra tutti gli interessi economici ed è così potente da non far parlare di sé. Nel romanzo pochi credono alla mafia, ma molti non ne parlano o per paura o perché sono in prima persona coinvolti. Il momento storico è fondamentale per la vicenda trattata nel romanzo perché negli anni ’60 il governo non credeva all’esistenza della mafia, se ne disinteressava e negava esplicitamente il problema. Sciascia in questo romanzo dà un’idea della mafia come qualcosa di molto potente tanto che il lavoro preciso del capitano Bellodi per trovare la verità e il mandante dell’omicidio viene in un momento vanificato per testimoni completamente fasulli. Sciascia è preoccupato perché intuisce il legame tra la mafia e i suoi superiori politici. Lo stato è la vittima del fenomeno mafioso.

Il capitano Bellodi è uno dei personaggi principali e più significativi del romanzo. Egli è un giovane capitano settentrionale che arriva da Parma ed è considerato come un modello di coraggio ed umanità. È un ex partigiano che ha rinunciato alla carriera di avvocato per rimanere nell’arma, come capitano dei carabinieri perché ha la passione dell’impegno civile e della giustizia. È coraggioso, onesto, buono, intelligente ed ambizioso. Tiene molto a questo caso proprio perché vuole che venga fatta giustizia pensando a tutti quei criminali che riescono spesso a cavarsela evitando le pene che gli spettano. 

Egli descrive la Sicilia come incredibile. L’aggettivo è enigmatico, potrebbe significare molte cose: misteriosa, affascinante oppure inguardabile; indica comunque qualcosa che sfugge dalla comprensione razionale di un uomo. Solo in quella regione esistono quelle realtà e per questo, come sinonimo userei anche surreale.

Alla fine del romanzo il capitano Bellodi viene sconfitto poiché si accorge che la vedova del personaggio Paolo Nicolosi (un contadino e possibile testimone dell’omicidio che durante le indagini scompare) e il suo amante sono sospettati per delitti per cui si preferisce orientare tutte le indagini verso la motivazione passionale mentre il maresciallo Ferlisi, comandante della stazione dei Carabinieri che lavora a stretto contatto con Bellodi, viene trasferito.

Un altro personaggio interessante è quello di  don Mariano Arena, un boss mafioso arrogante e sicuro di sè, il capo della mafia locale dove viene ambientato il romanzo. Leggendo il suo interrogatorio è impossibile non pensare alla furbizia che usa per negare la sporcizia della mafia. Mentre viene interrogato egli divide l’umanità in 5 categorie: nella prima pone gli uomini, nella seconda i mezz’uomini, nella terza gli ominicchi, nella quarta i pigliainculo e nell’ultima i quaqquaraqua. Don Arena viene definito un infame che, nel linguaggio della mafia, vuol dire essere un traditore proprio perché lui usa le persone che gli stanno vicino senza alcuno scrupolo. Infatti per don Arena la vita umana non ha nessun valore: “l’umanità è solo una bella parola piena di vento”. 

Un’espressione che colpisce è la seguente : “La verità è nel fondo del pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità”. Viene citata da don Mariano al capitano Bellodi e si riferisce alla scoperta della verità che è sempre possibile, basta chinarsi sul pozzo ed è spesso sotto gli occhi di tutti e quindi, tutti ne sono a conoscenza.

 

 

“Ho scritto questo racconto nell’estate del 1960, allora il governo non solo si disinteressava del fenomeno della mafia; ma esplicitamente lo negava”.

Questo romanzo viene considerato come il primo a denunciare apertamente la mafia. La lettura del romanzo è piacevole e man mano che si procede nella lettura questa diventa sempre più interessante e coinvolgente. Inizialmente infatti può sembrare un po’ lento ma vale la pena leggerlo fino alla fine. Sicuramente uno degli aspetti che stimola maggiormente la lettura del romanzo è il fatto che tratti un tema attuale. Parlare, leggere ed informarsi su temi d’attualità è importante, soprattutto per i giovani.

Una curiosità è che nel 1968 il regista friulano Damiano Damiani ha tratto un film da questo romanzo, ritenuto dai critici “uno dei più bei film sulla mafia”. Damiani ha raccontato di quando si conobbero sul set del film: “Non avevo idea di come potesse essere, non era allora un uomo fotografato. Poteva essere alto e sicuro, oppure grassoccio e ciarliero. Venne avanti invece un uomo minuto, gentile, silenzioso, profondamente civile”.

Ecco la sua testimonianza.

 

Vittoria Garnero



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