Carlotta, la nostra luce nell’acqua

Un tuffo nel passato e non dai blocchi di partenza, una riconoscenza tangibile per gli anni condivisi tra aule e piscina, un affetto concreto da parte di chi ora è grande e vuole raccontare la sua esperienza a chi siede oggi sugli stessi banchi di un tempo. Carlotta Gilli a Valsalice è di casa e quando le gare paraolimpiche di nuoto non la portano in giro per il mondo ritorna sempre volentieri a testimoniare ai ragazzi la sua vita.
Com’è nata la tua passione per il nuoto e quando hai capito che sarebbe potuto diventare qualcosa di più di un semplice sport?
Sono entrata in piscina quando non avevo neppure un anno. E’ stata una scelta dei miei genitori e ovviamente tutto è avvenuto senza pensare quello che sarebbe successo dopo. A sette anni ho fatto la mia prima gara, vincendola. Forse lì si è accesa la prima lampadina. Da quel momento il nuoto è stata una scelta totalmente mia, fatta con grande libertà. E anche se le bracciate di anno in anno si facevano più difficili, non ho mai messo di essere sicura di quella scelta. Quando ad un adolescente chiedono cosa voglia fare da grande, la risposta è medico, avvocato o insegnante. Io dicevo che avrei voluto fare l’atleta. Ho imparato in questi anni che se sei convinto della strada che scegli, la percorri con più facilità.
Valsalice fa parte della tua storia. C’è un ricordo speciale o un insegnamento che ti porti dietro dagli anni trascorsi qui?
Sono cresciuta tanto a Valsalice, e non parlo solo del mio percorso scolastico. Ho vissuto con grande impegno, fatica ma anche con straordinaria gioia gli anni delle Medie e del Liceo (Scienze Applicate, ndr). Direi che è stato un capitolo fondamentale della mia vita: mi ha insegnato la responsabilità, il valore del tempo e la consapevolezza che se vuoi qualcosa, si può raggiungere, nonostante le difficoltà. Negli anni di scuola mi alzavo alle 5, nuotavo dalle 6 alle 7.30, poi lezione, al pomeriggio di nuovo allenamenti e poi alle 20 alla sera quando tornavo a casa, affrontavo la questione dei compiti del giorno dopo. Devo dire grazie ai professori che mi hanno sempre accompagnata e sostenuta.
Alle Paralimpiadi di Tokyo 2020 hai vinto ben 5 medaglie, immaginiamo siano state un momento straordinario della tua carriera. Qual è l’emozione più forte che hai provato in quell’esperienza?
Tokio è stata una esperienza straordinaria, e non solo sotto un punto di vista sportivo. Per me era la prima volta alle Olimpiadi: tutto era “enorme”, più grande di me. Mi sentivo una formichina in un mondo di alieni. In più erano le Olimpiadi con i protocolli covid: ogni mattina facevamo il tampone e c’era la paura di risultare positivi. Il che avrebbe significato tornare subito in Italia e vedere vanificati i sacrifici di anni. Per due settimane prima delle gare siamo stati in una bolla, con percorsi obbligati, tanta solitudine nelle stanze e la voglia di tornare a casa era grandissima. E poi gareggiare di fronte a spalti vuoti è stata una esperienza bruttissima: Quando ho nuotato a Parigi lo scorso anno di fronte a 15000 persone ho capito perfettamente cosa significa essere alle Olimpiadi. A Tokio ricordo bene il “tunnel infernale” che portava alla camera di chiamata e il momento di attesa lì, tutte le atlete insieme. A darmi forza c’era Alessia, una mia compagna di squadra più esperta che mi ha dato la tranquillità necessaria per gareggiare. Mi ha insegnato che la cosa importante è non farsi schiacciare dal macigno della tensione. Spesso siamo noi stessi atleti che abbiamo aspettative alte, in maniera più o meno conscia. L’importante è resettare e chiedersi quanti altri atleti nel mondo pagherebbero per essere al mio posto. Insomma, trovare sempre il buono in ogni cosa che si fa. Questo vale per tutte le nostre azioni nella vita.
C’è una gara che ricordi in modo particolare, magari per una difficoltà superata o per un’emozione speciale?
Nel 2019 al mondiali di Londra. I 100 farfalla erano la mia prima grande gara internazionale. Arrivai seconda perché le piastre posizionate all’arrivo non funzionarono. Dalle immagini era chiaro che avevo toccato per prima ma l’oro andò ad una mia avversaria. Tutto era molto ambiguo e la Federazione non fece reclamo, sul podio quell’argento un po’ mi bruciava perché sapevo di avere nelle braccia l’oro. Ma ero anche consapevole di non aver nuotato al meglio e di non aver fatto un gran tempo. Avevo sbattuto la testa ma quella situazione è stata funzionale per il mio percorso di crescita. Mi sono allenata ancora più duramente per migliorarmi e i risultati sono poi arrivati.
Il nuoto è uno sport individuale, ma quanto conta il supporto della squadra e dello staff tecnico nel raggiungere grandi traguardi?
Tantissimo, con lo staff stai più tempo che con i genitori. I compagni di nazionale, poi, sono come i compagni di classe, soprattutto durante le gare internazionali quando sei lontano da casa. Al mio primo mondiale avevo 16 anni, ero lontano da casa e non conoscevo nessuno. Il supporto e la confidenza con gli altri ragazzi e le altre ragazze sono stati aspetti fondamentali. Ho capito che i compagni sono quelli che gioiscono con te quando va bene ma sono anche il bastone su cui appoggiarsi quando le cose non girano. Io ho poi la fortuna di avere due genitori straordinari che mi seguono con grande discrezione e non fanno gli allenatori per cui sono veramente supportata nel mio percorso sportivo.
Hai qualche rito scaramantico o una routine particolare prima di una gara?
Ammetto di essere scaramantica. Nelle prime gare costringevo mamma e papà a venire sempre con lo stesso vestito ad assistere alle mia gare, estate o inverno che fosse. Poi questa mia piccola follia è passata. Ma ancora oggi se il primo giorno di una manifestazione seguo un determinato percorso per arrivare in piscina e la gara va poi bene, nei giorni successivi ripeto sempre la stessa strada.
Carlotta Gilli, 24 anni, ha frequentato le Medie e il Liceo Scientifico Scienze Applicate a Valsalice dove ha coniugato studio e allenamenti. Da atleta paraolimpica ha partecipato a due Olimpiadi (Tokio e Parigi) e tre Campionati Mondiali ed Europei vincendo in carriera 21 medaglie d’oro (di cui 4 olimpiche) e un totale di 49 medaglie internazionali stabilendo tra l’altro numerosi record del mondo. Ha da poco pubblicato il suo primo libro, Una luce nell’acqua.