Vivian Maier, icona della street photography

di Giorgio De Marchi

Nel 2007 lo scrittore e regista John Maloof ha acquistato all’asta una scatola di negativi fotografici per circa 400 dollari, sperando di trovare le foto per un libro sul suo quartiere a nord-ovest di Chicago. Si è invece imbattuto in una miniera di negativi, stampe e rullini non sviluppati realizzati da un’ex tata locale di nome Vivian Maier. Negli anni successivi, lavorando con un altro collezionista, Jeff Goldstein, ha compilato un archivio completo del lavoro della Maier e ha prodotto il documentario “Alla ricerca di Vivian Maier”. Dopo l’uscita del film, che riscosse molto successo, tra le persone affascinate dalla Maier vi era Ann Marks, un ex dirigente aziendale: profondamente incuriosita dai misteri e dalle domande senza risposta che circondano la Maier, ha deciso di indagare su questa misteriosa figura, giungendo alla composizione della biografia “Vita di Vivian Maier”.

All’epoca del film di Maloof si sapeva poco della Maier. Anche le famiglie per cui aveva lavorato avevano potuto riferire ai realizzatori solo pochi elementi, quali i primi sei anni trascorsi in Francia da bambina, la vita a Manhattan fino all’età di 30 anni, quindi il trasferimento a Chicago dove è rimasta fino alla morte. Nessuno sapeva dove fosse nata, cosa fosse successo alla sua famiglia o come si fosse avvicinata alla fotografia. Così solo grazie allo sviluppo di oltre 140.000 foto attuato dalla Marks, attraverso indizi e dettagli riportati dalle immagini stesse, si è riusciti a ricostruire la vita di Vivian Maier.

 

Nata a New York nel 1926 da madre francese e padre austriaco, in una famiglia in gravi difficoltà economiche, trascorse la sua esistenza facendo da tata, prima a Manhattan e poi a Chicago, presso famiglie benestanti, portando avanti la sua passione fotografica nata nel 1949, anno in cui comprò in Francia la sua prima Leica. Tornata a New York nel 1951, iniziò a scattare foto di quello che sarebbe diventato “il suo posto preferito sulla terra”. Il suo decennio più felice è stato quello trascorso con i Gensburg di Chicago, “che sono diventati la famiglia che non ha mai avuto”. Negli anni precedenti la sua morte – avvenuta nel 2009 – si era impoverita e per scongiurare il rischio di diventare una senzatetto, anche se aiutata da alcuni dei suoi ex datori di lavoro, fu costretta nel 2007 a mettere all’asta tutti i suoi averi.

La grandezza delle sue foto risiede nell’incredibile capacità di catturare l’evoluzione economica, politica e culturale che gli Stati Uniti stavano attraversando dopo la Seconda guerra mondiale. È impossibile però sapere come si sentisse la Maier nei momenti in cui scattava, ma in generale tutte le sue foto emanano empatia, mantenendo una rispettosa distanza anche mentre si concentrano sui momenti più intimi ​​di soggetti estranei. Ha l’abilità di catturare lo sguardo lontano di un giovane perso nei suoi pensieri o l’espressione tesa di una donna di mezza età che guarda furtivamente un uomo disabile o ancora i tratti di un’anziana signora che per strada litiga con un poliziotto. Maier raffigura così la vita reale in una quotidianità in cui il successo e la prosperità restano per molti irraggiungibili, la maggior parte dei visi che scandiscono le sue passeggiate fotografiche sono quelli di persone che le assomigliano, che vivono ai margini di quel mondo illuminato dall’euforia del sogno americano. Maier non pubblicò mai le sue foto, forse perché voleva mantenere private le sue emozioni che impresse sulle sue pellicole o perché pensava di non poter mai essere all’altezza di una pubblicazione fotografica, anche se oggi rappresenta una delle più importanti esponenti della street photography, caposaldo della fotografia. Sicuramente però oggi il suo desiderio, pervenuto grazie a uno dei pochi video con audio da lei realizzati, che intendeva trasmettere con le sue foto è stato realizzato: “Suppongo che nulla duri per sempre. Dobbiamo fare spazio ad altre persone. È una ruota. Sali, vai fino in fondo. E qualcun altro ha la stessa opportunità di arrivare alla fine.”

Redazione



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