Tragedia senza tempo

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di Margherita Finello

Non capita tutti i giorni di assistere a una tragedia della cultura greca classica a teatro. I registi prediligono spettacoli di sceneggiatori contemporanei o dell’epoca moderna, così come il pubblico preferisce assistere a rappresentazioni con situazioni e costumi più vicini alla società odierna.

Quest’ultimo è probabilmente il motivo per cui le tragedie greche non vengono mai inscenate così com’erano state scritte duemilacinquecento anni fa, ma subiscono necessariamente un aggiornamento almeno per quanto riguarda i modi e gli abiti degli attori. Eppure le loro storie non smettono mai di essere raccontate. Le loro situazioni continuano a essere rappresentate a teatro o nel mondo del cinema. Esiste un indirizzo di liceo, il classico, che pone al centro dell’attenzione gli aneddoti di un tempo così remoto.

Perché la nostra società ha le proprie radici in quel passato. E studiare i classici o assistere a una tragedia greca non significa solo andare a riscoprire il proprio passato. Significa porre l’attenzione sul presente.

Quando si assiste a una “tragedia” classica non è l’omicidio o il suicidio ad essere al centro dell’attenzione. Essi sono solo espedienti che consentono all’autore di portare in primo piano temi così elevati che solo al momento dello spettacolo sorgono come dubbi allo spettatore, il quale però si rende immediatamente conto che, per quanto nobili, siano in realtà intrinsechi nella nostra quotidianità.

 

È interessante osservare come alcune opere teatrali greche ancora oggi siano gli esempi più esplicativi per trattare materie che apparentemente non avrebbero nulla a che fare con il genere teatrale. Il caso più lampante è sicuramente quello dell’Antigone, tragedia in cui emergono due lati del diritto, quello naturale e quello positivo; l’opera è il racconto dello struggimento della protagonista – Antigone appunto – che, mortole un fratello, siccome egli era ritenuto un traditore della patria dal sovrano della città, non poteva dargli sepoltura, anche se in cuor suo avrebbe voluto perché, secondo la mentalità greca del tempo, la vita di un uomo per terminare aveva necessariamente bisogno della sepoltura del proprio corpo. Questa tragedia, quindi, è studiata alle facoltà di Legge e Giurisprudenza in quanto dimostra come talvolta diritto naturale e positivo siano uno l’opposto dell’altro e come spesso sia difficile scegliere tra i due pur rimanendo nella ragione. Ed è proprio il messaggio che Sofocle, autore della tragedia, vuole trasmettere allo spettatore: Antigone, scegliendo di seppellire il fratello – obbedendo alla legge naturale e non a quella positiva – incorre inevitabilmente nella morte.

 

 

Il modulo delle tragedie è solo uno dei molti che vengono studiati al liceo classico. Avere una formazione che risale fino alle radici della cultura mediterranea e studiarne gli autori e le rispettive correnti di pensiero permette all’uomo contemporaneo di sviluppare le capacità di saper risolvere problemi apparentemente insormontabili sfaldandoli in piccoli passaggi – grazie all’esercizio delle versioni – e di saper cogliere anche in ciò che apparentemente sembra più banale un significato profondo e una bellezza che altrimenti rimarrebbe celata.

Redazione



Il Salice

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