Felix Mildenberger, musica dall’anima
Lunedì 23 ottobre si è tenuto al Teatro Regio di Torino il primo appuntamento della stagione musicale “I Concerti 2023-2024” della Filarmonica TRT e tra le collaborazioni volte al coinvolgimento di nuovi giovani spettatori c’è anche quella con Valsalice.
A dirigere l’orchestra nell’esecuzione dell’ “Appalachian Spring, suite dal balletto” del compositore americano Aaron Copland e della “Sinfonia n.4 in sol maggiore in Quattro tempi per orchestra e soprano solo” di Gustav Mahler è Felix Mildenberger, Direttore Ospite Principale della Filarmonica TRT, giovane maestro vivace, poliedrico ed elegante, volto della musica classica del domani. Abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo e di conoscere qualche suo segreto.
A cosa è dovuta la scelta di questo repertorio?
La collaborazione con la Filarmonica TRT è iniziata cinque anni fa e da lì ho iniziato a venire regolarmente, circa due volte all’anno. Fin dall’inizio l’idea principale è stata quella di portare ad ogni concerto più sfaccettature di repertorio possibile, tra quello francese, inglese e tedesco. Ci siamo resi conto che mancava ancora Mahler e un’occasione importante in cui poterlo suonare; con la celebrazione del ventesimo anniversario della Filarmonica TRT la scelta è stata quindi immediata. Definirei la musica di Mahler come vertice della musica orchestrale, ci sono questi due aspetti che la contraddistinguono: il primo è che si tratta di un compositore così toccante ed emozionante che riesce a raggiungere anche il pubblico che non è solito ascoltare musica classica. E’ come se Mahler avesse trovato un linguaggio universale in grado di dialogare con chiunque lo ascolti; il secondo è che dal punto di vista di un direttore d’orchestra è particolarmente interessante, essendo stato lui stesso direttore ha nel modo in cui scrive le partiture una precisione straordinaria. Quando studio altri compositori spesso riempio gli spartiti di punti interrogativi, con quelli di Mahler questo non succede, è come se avesse previsto qualsiasi dubbio o ambiguità, dunque studiarlo e condurlo è molto più diretto e intuitivo.
Quali sono le qualità fondamentali che un direttore d’orchestra dovrebbe avere?
Sono due gli aspetti fondamentali di questo tipo di lavoro: il primo è molto teorico, richiede oltre ad una lunga preparazione solitaria in casa anche una certa sensibilità dell’orecchio, un’analisi e una conoscenza tecnica del pezzo da eseguire e della musica stessa; il secondo invece, importante nel lavoro di fronte e con l’orchestra, è un aspetto più psicologico e più umano. Infatti per quanto possano essere preparati i musicisti e per quanto possa essere preparato io, ho bisogno di portare a loro le mie idee e di convincerli; dire semplicemente “Devi farlo così. Va suonato così” non basta, bisogna creare un legame. Come si fa a far sì che un gruppo di sessanta, ottanta o addirittura cento persone seguano una singola idea? Ispirandoli e lo si fa raccontando storie, creando immagini e dando un’idea del suono che si vuole avere, per questo motivo è fondamentale la comunicazione.
Che tipo di percorso bisogna seguire per intraprendere una carriera in questo ambito?
Il mio consiglio è quello di iniziare a frequentare i teatri dell’opera e i concerti man mano che si cresce, in modo che l’approccio alla musica non sia artificioso, ma genuino e parte del DNA. Prima si inizia ad ascoltarla e ad abituarsi ad essa e migliore sarà la comprensione dei pezzi una volta che si dovrà eseguirli; d’altra parte la direzione stessa dell’orchestra ha senso non prima dei diciotto anni. Bisogna considerare che ci si presenta come “guida” ad un gruppo composto normalmente da persone che difficilmente hanno ventotto o trent’anni, quindi saper come porsi per dirigere musicisti con anni di esperienza più di te è fondamentale.
Ci sono state figure nella tua vita o artisti che ti hanno ispirato particolarmente?
Sono molte le persone che mi hanno ispirato. Le prime, che fanno parte di una sfera più privata della mia vita, sono sicuramente i miei primi maestri, quello di pianoforte e di direzione d’orchestra; poi ce ne sono un paio molto conosciute come Paavo Järvi, oggi direttore principale dell’orchestra della Tonhalle di Zurigo. Abbiamo studiato insieme durante una sua masterclass e mi ha insegnato molto soprattutto nel modo in cui vive questa professione, ovvero rendendosi conto che oramai i musicisti sono sempre più preparati tecnicamente e il direttore non è più tanto una figura che comanda, come lo era decenni fa, quanto una che ispira. In questo mi ha ispirato molto, sia nel suo umorismo che nella gestualità stessa con cui dirigeva.
Pensi che la musica dovrebbe essere reintrodotta come materia scolastica?
Assolutamente, io sono terrorizzato dal fatto che la stiano man mano cancellando dal programma scolastico. Chiaramente deve essere fatta bene per avere senso, l’educazione musicale deve avere un valore e non dico questo perché sono musicista o perché penso che tutti dovrebbero amare ciò che amo io, l’interesse è chiaramente un fattore personale, ma dato che il nostro cervello si dice esser formato da due emisferi, uno creativo e l’altro analitico, è necessario che tra questi ci sia equilibrio, equilibrio che noto non esserci più in un momento come questo in cui si studiano principalmente materie come chimica, fisica, matematica ed economia, assolutamente fondamentali ma che richiedono tutte uno stesso modo di ragionare. Studiare musica ti cambia profondamente come essere umano: so che è una frase importante da dire, ma lo penso veramente e se questo può far scattare anche solo una scintilla in qualcuno e portarlo ad entrare a suonare in orchestra, si sbloccano certe capacità che spesso non vengono considerate. Sono capacità che possono nascere magari dalla condivisione dello stesso leggio con un collega, dal seguire le indicazioni di un direttore d’orchestra, dal rispetto delle battute di pausa della propria partitura o dall’ascolto e dall’analisi reciproca di ciascuno strumento.