Modello Emilia VS Modello Piemonte. I punti di forza dei due tessuti industriali.
Piemonte ad Emilia Romagna sono entrambe regioni parecchio industrializzate, e benché la seconda abbia superato più recentemente il modello economico basato sull’agricoltura, ha battuto la prima quanto a volume di exoprt.
A partire da questo inaspettato dato, il 10 maggio 2024, presso Salone Internazionale del Libro di Torino, Angelo Cappetti, direttore di Unione Industriale Torino, e Franco Mosconi, docente di Economia e Politica Industriale presso l’Università di Parma, nonché autore del saggio “Modello Emilia. Imprese innovative e spirito di comunità” hanno parlato delle differenze del tessuto industriale delle due regioni, per capire quali siano i punti di forza di quello Emiliano e cosa i Piemontesi possano fare per migliorare.
“La somma dei fattori che ho inserito nel sottotitolo del mio libro (imprese innovative e spirito di comunità) non fa 2 ma 2,5, se non addirittura 3” ha detto il professor Mosconi in apertura. Inutile dire che L’Emilia Romagna eccelle in Entrambi.
Il tessuto industriale piemontese, si è sviluppato piramidalmente: al vertice la FIAT, unica grande azienda della regione, poi molte piccole aziende che si occupavano della produzione di specifici pezzi da vendere alla FIAT per le sue automobili. Tuttora il Piemonte è leader nella meccanica di precisione: è parte fondamentale nel processo produttivo delle principali aziende automobilistiche del continente, ma l’assenza dell’azienda attorno a cui il settore si è sviluppato si è fatta comunque molto sentire. Comunque, questo modello gerarchico ha fatto sì che le PMI piemontesi si abituassero a competere tra loro per aggiudicarsi ordini dall’azienda più grande, non a collaborare per valorizzarsi. In Emilia Romagna questo non è mai esistito: gli imprenditori hanno sempre cooperato, privilegiando una visione che prevede la coesistenza di aziende diverse, ognuna con la propria fetta di mercato, ad una competizione sfrenata (non a caso hanno sede lì le più importanti cooperative del paese) e i frutti si vedono.
Quanto alla voce “imprese innovative”, tutto il nostro paese è messo male: il rapporto tra spese per la formazione o la ricerca e il PIL, che secondo le direttive europee dovrebbe essere al 3%, è nel nostro paese all’1,2%. Nemmeno in Emilia Romagna il limite minimo è rispettato, ma il rapporto è comunque il più alto d’Italia: 2,15%. Inoltre, le prime due aziende per numero di brevetti registrati in Europa sono Emiliane. Neanche il Piemonte, in realtà, è messo male a livello nazionale: detiene il secondo posto della classifica regionale con un rapporto pari al 2,08%. Il divario c’è, ma non è incolmabile.
Un’altra importate differenza, secondo il Dottor Cappetti, sta nella capacità regionale di formare una narrazione. In Emilia Romagna ci sono università importanti e molte case editrici che possono trasmettere i punti di forza della regione; inoltre, complice una classe politica efficiente, si organizzano molti eventi (si pensi al recente Motor Valley Festival, reso possibile anche grazie alla cooperazione di aziende teoricamente rivali). Al Piemonte tutta questa struttura manca: a Torino c’è uno dei politecnici migliori d’Europa, come dimostrato dalla presenza di moltissimi studenti stranieri; e senza le PMI che una volta servivano la FIAT il settore automobilistico di tutto il continente sarebbe compromesso, ma tutto ciò la gente semplicemente non lo sa.
In ogni caso è innegabile che l’Emilia Romagna abbia adottato un modello virtuoso a cui tutt’Italia dovrebbe ispirarsi. Gli imprenditori dovrebbero smettere di considerarsi nemici, anche perché tutta la pianura padana, vista da fuori, potrebbe essere considerata come un’unica città, considerare Torino e Milano “rivali” è dunque insensato, oltre che dannoso. Lo stato, inoltre, dovrebbe investire decisamente di più in formazione e ricerca. Su questo punto è importante notare come la Francia sia la seconda economia dell’UE e l’Italia la terza, nonostante il valore aggiunto dell’export italiano sia maggiore di quello francese. Tra i punti di forza di Parigi, proprio gli investimenti in quest’ambito.