Homo sum
Da una parte un cuore artificiale incapace di assecondare i sentimenti, dall’altra un’oscura verità che spinge ad un’azione illegale ma comprensibile. Adam, il prototipo umano protagonista del libro di Ian McEwan Machines like me, di fronte alla terribile confessione dell’amata Miranda, donna in carne ed ossa, decide di rivolgersi alla polizia per denunciarla. Comportamento integerrimo e probabilmente a detta di molti figlio di una moralità assoluta ma che, al tempo stesso, rappresenta una fonte di riflessione su ciò che distingue e sempre differenzierà l’uomo da una macchina. Nonostante le incessanti ed esponenziali migliorie tecnologiche, un robot non sarà mai in grado di concepire una valutazione basata su reali sentimenti. Le stesse emozioni che trascendono la dimensione del reale proprio per peculiarità intrinseche alla loro natura.
La tematica portata alla luce da questa lettura offre un brillante spunto di riflessione sulla società contemporanea, che sembra voler abbracciare con sempre maggior convinzione le nuove tecnologie. In questo senso costituisce un esempio calzante il fenomeno dell’intelligenza artificiale, ormai capace attraverso differenti algoritmi e campioni vocali di replicare persino la voce delle personalità più note. La diffusione di notizie false, tuttavia, si traduce spesse volte nella conseguenza più ovvia ed immediata. D’altro canto, vi è il graduale annichilimento delle capacità intellettive umane grazie a piattaforme digitali estremamente diffuse e di facile accesso. Produrre testi, impostare riflessioni di senso compiuto tenute insieme da un comune filo conduttore, rispondere a curiosità personali: queste rappresentano soltanto alcune tra le molteplici funzioni che questi siti hanno la possibilità di svolgere. Il dualismo che vede il perenne scontro tra vita digitale e realtà effettiva pare dunque trovare nel mondo odierno una risposta piuttosto scontata. Ma esclusivamente a primo impatto, operando un’analisi superficiale.
Parola, dialogo, relazione
Il tramonto di una sola istituzione, infatti, non potrà mai impreziosire il panorama che vede la sola tecnologia come sovrana: la scuola. Quest’ultima funge da grembo materno in cui ciascun individuo si forma fino al momento cruciale della propria esistenza, ovvero la presa di coscienza del proprio essere e dell’importanza delle relazioni interpersonali. È il luogo in cui il dialogo profondo e incisivo incontra la complessa e sfaccettata sfera umana. Ad assumere un ruolo principe è pertanto la medesima parola che Cicerone pone all’inizio del processo evolutivo e che ha permesso agli uomini di elevarsi dall’infima condizione di bestie. Tra le mura di un’aula, nozione dopo nozione, i ragazzi vengono plasmati in cittadini consapevoli caratterizzati da un acuto spirito critico e da una rigorosa moralità. Personalità che si rendono dunque conto di non poter essere determinate e oppresse dal numero di seguaci o di like sui social media. In fondo, proprio in questi soggetti, menti come quelle di Platone e Aristotele, fino ad arrivare a Lenin, avevano individuato i custodi ed i trascinatori della società.
Il dualismo tra tecnologia e concretezza
Non bisogna però scivolare nell’errore di ritenere che questo tipo di formazione rinneghi nettamente l’ambito della digitalizzazione. Tablet e computer si sono rivelati, infatti, valide alternative sopratutto nel periodo della pandemia. Non si può negare, tuttavia, che la conservazione di un valore, di un significato sia legata in modo inscindibile con la dimensione della concretezza. Per questa ragione un libro, un quadro, una scultura avrà perennemente una dignità ontologica superiore a qualsiasi forma di smaterializzazione. È nello studio e nel peso delle nobili parole che si cela l’epifania della verità.