Siamo parole
di Carola Cogno
Parola e pensiero. Lingua e intelletto. Λόγος direbbero gli antichi Greci, quasi a voler suggerire la loro totale sovrapponibilità. “Cogito ergo sum”, penso quindi sono, ribatterebbe invece Cartesio. D’altra parte che cos’è la parola se non lo specchio di ciò che pensiamo? E che cos’è il pensiero se non il riflesso della realtà con cui ci confrontiamo quotidianamente ? Un legame, quello tra pensiero, parola e realtà che già era stata sintetizzato nella formula tomista “Adaequatio intellectus ad rem” e “ad verba”, potremmo aggiungere noi, proprio a sottolinearne la corrispondenza. D’altronde senza la parola non vi sarebbe nulla. Non ci sarebbe scambio, confronto, dibattito. Tutto si ridurrebbe a un mutuo scambio di sguardi di fronte alla realtà, senza possibilità di esprimerne la bellezza e la problematicità. Significherebbe porre fine al ragionamento, alla riflessione, al giudizio e di conseguenza anche alla possibilità di esprimersi pienamente. In questo senso la parola diviene simbolo di ciò che siamo, in quanto uomini singoli e in quanto individui appartenenti a una comunità. Un tassello quindi irrinunciabile nella vita sociale di un individuo.
Da qui il ruolo fondamentale della lingua nella storia e nella vita di una nazione: anima di un popolo, ne preserva storia e retaggio. Pensiamo al concetto di stato, un’ entità organica, fatta di uomini, di individualità uniche e irripetibili: indispensabile quindi un elemento che unisca nel profondo, molto di più di un confine tracciato su una carta geografica. Un qualcosa che crei un vero e proprio sentimento di appartenenza alla propria nazione. Una necessaria gamma di idealità, di valori fondanti che vadano a sfociare ed alimentare un certo qual tipo di “Spirito del Popolo”. Una serie di tradizioni, il lascito della storia passata, non che il punto di partenza per lo sviluppo futuro. Tutto questo è in parte sintetizzato, nascosto nelle parole e vivificato dalla lingua.
Una lingua che è sempre lì con noi, a ricordarci la nostra identità di italiani, francesi, tedeschi. Un’identità culturale e storica celata nelle parole, piccoli indizi che ci rammentano, chi siamo, cosa siamo, da dove veniamo. Si pensi all’italiano, nient’altro che il prodotto di una miscela di linguaggi, frutto di un incontro, di una fusione tra popoli. Noi veniamo da lì; tanto che è come se nel nostro piccolo fossimo un po’ Etruschi, un po’Greci, Romani o addirittura barbari. Un lignaggio nascosto dietro un suono, una preposizione, una lettera.
Infine, se la lingua plasma un popolo, è vero che è anche il popolo a plasmare la lingua, in un incessante evolversi della sintassi, della morfologia, del lessico. Si tratta di un rapporto biunivoco, che trascende le diversità linguistiche dei vari dialetti. Anzi, queste differenze non vanno che a rendere il linguaggio più conforme al vero, alla realtà variegata della penisola italiana. In questo modo la lingua diviene veramente sovrapponibile al concetto di “Volskgeist”, lo spirito di un popolo, unito nonostante i contrasti. Infatti nazione non significa unità assoluta, annullamento e appiattimento di tutte le differenze. Nazione significa coesione nonostante le diversità, organicità nelle molteplicità di individualità, tradizioni e dialetti.