Il professor Melchionda, tra campo, casa e scuola.

di Margherita Oblique e Isabel Rolle
Sfere, diagonali, statistiche. Il linguaggio del calcio desume tante cose dalla Matematica: saper leggere una partita non è troppo diverso da riuscire a risolvere un’equazione. Uno spogliatoio, poi, è del tutto simile ad una classe, per personalità e dinamiche interne. Il professor Melchionda nella sua vita ha saputo creare un armonico connubio tra pallone e gessetto, portando un po’ di scuola in panchina (e viceversa). Melchionda è un docente che, nonostante una vita frenetica, dedica tanto tempo a Valsalice facendosi conoscere anche per i numerosi corsi che tiene a partire dalla Palestra di Matematica per arrivare al corso di Economia. Il prof. ha risposto alle nostre domande dandoci una visione più chiara di chi è fuori da Valsalice e dei suoi hobby.
Perché si chiama Diego?
“Sebbene si possa pensare che il mio nome, Diego, sia un tributo a Maradona, perché negli anni vicini alla mia nascita il campione e il Napoli vivevano un periodo straordinario, mio padre sostiene che la scelta fosse già maturata per altre ragioni nonostante sia un tifoso del Napoli”.

Sappiamo che ha due figlie. Sente differenze e, se sì, quali dopo l’arrivo di Marta?
“Sicuramente delle differenze dall’arrivo di Marta ci sono, a partire semplicemente dal tempo. Quando c’era solo Emma, anche se il tempo era poco, io e Elisa riuscivamo ad alternarci per poter dedicare momenti anche agli impegni individuali riuscendo a gestire sia nostra figlia che noi stessi. Con l’arrivo di Marta, chi si dedica ad una non può dedicarsi all’altra quindi dividiamo il tempo diminuendo anche il tempo per le faccende personali.
Per quanto riguarda la seconda nascita, le sensazioni con cui ho vissuto il momento erano diverse perché ero ormai preparato ma è stato lo stesso un evento straordinario.
Invece, una cosa che trovo molto soggettiva, è che da quando siamo in quattro in casa, sento ancora di più l’ambiente di famiglia. Ho trovato nuove dinamiche come quelle che si instaurano tra sorelle a cui non ero abituato. Vedere un rapporto in più in famiglia mi fa sentire ancora più partecipe di questo mondo ma è anche difficile perché, mentre prima le attenzioni erano solamente per Emma, ora vanno gestite ed equilibrate: bisogna dosare le attenzioni che si danno a ciascuna.
Fortunatamente queste piccole difficoltà sono solo incertezze normali e sto vivendo davvero bene questa famiglia, ne sono davvero contento”.
Riesce a gestire i suoi tre impegni principali ovvero scuola, allenamenti e famiglia?
“Per riuscire a legare insieme tutti i miei impegni e i momenti che voglio dedicare alla mia famiglia mi impongo di non correggere verifiche o svolgere attività legate alla scuola o al calcio durante le vacanze. Questo mi permettete, almeno in parte, di fare coincidere tutto continuando comunque a dedicare a ogni impegno il tempo dovuto”.

Che squadra allena e come è nata la passione per l’allenamento e in generale per il calcio?
“Attualmente alleno la Cheraschese che milita nel campionato di Eccellenza. Quando ero ragazzo i miei obiettivi lavorativi erano inerenti all’insegnamento di matematica e all’allenamento e mi ritengo molto fortunato per essere riuscito a raggiungere entrambi. L’ultimo, il ruolo di allenatore, è iniziato ad essere importante verso i 29 anni. Ho chiuso la carriera per un problema al ginocchio che non mi permetteva di scendere più in campo. Ho iniziato ad allenare nel settore giovanile e mi sarebbe piaciuto poter continuare a giocare ma ho capito che non sarei riuscito a gestire tutto.
Negli anni sono cresciuto come mister: sono partito dai bambini e oggi alleno persone più grandi di me. E’ una funzione difficile da gestire ma, nonostante le difficoltà, il ruolo di allenatore è molto appagante e ne sono felice”.
Com’è arrivato a Valsalice e dove insegnava prima?
“Dunque, la mia storia lavorativa è molto lunga. Ho svolto il mio primo anno di insegnamento alla scuola “Arti e Mestieri” di Grugliasco, una scuola professionale che insegna anche il lavoro manuale in officina; lì insegnavo fisica e scienze ma è stato a tutti gli effetti un anno di prova e soprattutto molto difficile perché ai ragazzi non interessava l’aspetto didattico ma solo quello pratico e io ero insegnante di materie di “contorno”. Con questa esperienza mi sono reso conto dell’importanza dell’aspetto umano rispetto a quello didattico: è stato complicato lavorare sulla totalità di questi ragazzi ma ci ho provato e in alcuni casi ho anche avuto successo.
Successivamente, sono entrato a lavorare al Liceo Cadorna nel suo ultimo periodo di attività perché da lì ad un anno avrebbe chiuso il liceo. Infatti, ad oggi sono presenti medie, elementari ed asilo.
Durante il mio periodo di insegnamento in quella scuola, mi è capitato di essere intervistato dall’attuale vice preside professor Accossato che ha subito mostrato la sua attenzione su di me che risultavo essere l’unico insegnante di matematica e giocatore nel mio ambiente. Quindi, il professor Accossato mi ha consigliato di mandare un curriculum a Valsalice e io ho accettato perché sapevo della chiusura del Cadorna. Caso vuole che l’anno successivo a Valsalice servisse un insegnante di matematica e, in seguito al colloquio con il preside, fui assunto.
Sono ormai quindi circa 10 anni che insegno al Valsalice nonostante all’inizio avessi un pregiudizio verso le scuole paritarie, preferendole meno rispetto a quelle statali per l’importanza che attribuivo alla scuola pubblica.
Tuttavia, Valsalice offre qualcosa di più che non ho trovato in altre scuole, come attività extracurricolari e, soprattutto, una maggiore considerazione umana, curata meglio rispetto alle statali, non solo in senso laico. Ho deciso di rimanere per l’aspetto umano molto importante, oltre al rapporto eccellente tra colleghi, spesso anche amici”.
Ha altre passioni oltre al calcio e alla matematica?
“Le passioni che coltivo di più sono sicuramente il calcio e la matematica, il che mi lascia con poco tempo materiale per coltivarne altre. Comunque cerco di portare avanti altre due attività, una di volontariato e una politica, per cui mi è anche capitato di candidarmi a livello comunale. Da ragazzo mi piaceva anche molto leggere, ma adesso faccio fatica a farlo sempre per una questione di tempo”.
Come ha vissuto la sua esperienza universitaria? Che consigli dà ai prossimi maturandi?
“Essendo arrivato con delle basi solide dal liceo all’università e avendo scelto un’università riguardante una materia per cui ero appassionato e in cui ero bravo, il primo quadrimestre l’ho passato tranquillamente con voti alti senza mai aprire un libro.
Tuttavia, questo mi ha portato a sopravvalutare le mie capacità; saltavo persino lezioni per fare ripetizioni ad altri ragazzi. Le conseguenze di questo mio comportamento le ho subite il resto della triennale in cui, avendo questa sicurezza che in realtà si è rivelata una debolezza, non sono riuscito a superare a pieni voti.
Avendo avuto questo risultato mi sono poi ricalibrato e sono tornato il giovane determinato che ero prima essendomi accorto di avere sbagliato approccio. Questo cambiamento mi ha permesso di superare la magistrale con i voti che mi ero prefissato.
Quindi un consiglio che darei ai maturandi è quello di non sopravvalutarsi e impegnarsi sempre al massimo”.

Ci racconta un aneddoto della sua infanzia?
“Sono sempre stato una persona determinata e, una volta fissato un obiettivo, niente avrebbe potuto impedirmi di raggiungerlo.
Quando avevo 5 anni, giurai a mio fratello che non avrei permesso al mio amico Paolo di toccare il suo lego preferito. Io e Paolo eravamo molto vivaci e, appena finimmo di giocare con le pistole giocattolo, lui cercò di prenderlo. Per mantenere la promessa fatta a mio fratello, glielo impedì colpendolo con una pistola giocattolo che avevo in mano provocandogli una ferita non poco rilevante”.
Dove si vede tra 20 anni?
“Tra 20 anni, realisticamente, avendo trovato una stabilità a livello lavorativo, vedo una continuazione a livello didattico e calcistico.
Rimane però un mio sogno riuscire a scalare le categorie calcistiche, raggiungendo magari anche la Serie C. In quel caso smetterei di insegnare per questioni logistiche e per concentrarmi sempre di più sul calcio”.




