Solo una donna, Felicia Impastato

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di Costanza Castorina, Arianna Demeglio, Aurora Levato, Vittoria Simonetti, Emma Zimaglia. 

“Sette rintocchi e una madre muore”.

Così si è aperto lo spettacolo di venerdì 14 novembre al teatro Erba a cui alcune classi di Valsalice hanno assistito. Una rappresentazione che non ha solo l’obiettivo di far conoscere la storia di Felicia Impastato, ma anche quello di trasmettere le emozioni, le speranze e i momenti difficili della protagonista. 

Solo una donna, Felicia Impastato”, per l’ottima regia di Miriam Mesturino che ha saputo proporre la vicenda con toni asciutti ma fortemente patetici, non è uno spettacolo incentrato solo sulla vita di Peppino Impastato, ma soprattutto su sua madre, Felicia.

La vita di questa incredibile donna è accompagnata fin da subito dal coro che richiama la fiorente tradizione della bellissima terra della Sicilia, luogo a cui l’attrice protagonista (e anche autrice) Vita Villi è molto legata. I lieti balli e i dolci canti sono però interrotti dal clima di violenza che emerge lentamente nelle vite dei protagonisti.

Felicia, dunque, nacque a Cinisi nel 1916 da una famiglia di piccola borghesia: il padre era impiegato al comune e la madre era casalinga, così come lo sarà poi Felicia. Gli anni dell’infanzia furono tranquilli e quieti e non sappiamo molto se non che fin da quell’età ha coltivato giorno per giorno l’amore profondo per la sua terra, amore che proverà fino alla sua morte.

 

 

La quiete di Felicia, però, non era destinata a protrarsi nella sua vita futura: infatti nel 1947, all’età di 31 anni, sposò Luigi Impastato. Luigi faceva parte di una famiglia di piccoli allevatori legati alla mafia del paese. 

La scena del matrimonio, che si prospettava felice, si rivela invece cruenta e umiliante: subito dopo le promesse, Luigi ruppe l’illusione della festa con un gesto violento, rivelando la vera natura del rapporto che si stava formando. Incisiva, in questa parte dello spettacolo, è il ruolo del cantastorie, interpretato da Il Solito Dandy, che dona così numerose sfumature all’anima sincera di questa ragazza, il timore e  la dolcezza di questo amore che nasce già intaccato dalla violenza.

L’attrice in questa scena è stata straordinaria, non ha semplicemente interpretato un ruolo, ma lo ha vissuto. Nel momento dello schiaffo, il modo in cui ha irrigidito le spalle, come se il dolore le attraversasse l’anima prima ancora del viso, ha reso la scena straziante. La sua reazione, un misto di incredulità, vergogna e paura, è riuscita a trasmettere al pubblico ciò che stava veramente provando Felicia, senza che fosse necessario pronunciare alcuna parola. 

Da questa unione, nel 5 gennaio del 1948, nacque Giuseppe, e successivamente nel 1953 il secondogenito Giovanni. Sappiamo per certo, grazie alle testimonianze della stessa Felicia, che tra i coniugi non correva buon sangue. Difatti i due erano soliti litigare molto spesso a causa dei legami di Luigi con la mafia del paese, che Felicia disprezzava particolarmente. In particolare Luigi era molto legato con Cesare Manzella, marito di sua sorella e capomafia del paese. 

Quest’ultimo nel 1963 muore ucciso dall’esplosione di un auto riempita di tritolo.

Peppino, che all’epoca aveva 15 anni, rimane particolarmente colpito, tant’è che prende la decisione di combattere per tutta la vita la mafia, anche se questo significava andare contro il padre e la sua famiglia. Nei suoi occhi, infatti, si cela già la volontà di combattere la violenza.

Con il passare degli anni la vita di Felicia si dimostra una vera e propria lotta, che però non riesce mai a fermarla. Infatti, dopo la morte di Cesare Manzella, Giuseppe inizia ad esprimere le proprie idee riguardo alla mafia pubblicamente, esponendosi in questo modo a grandi pericoli e rischi. Tali problemi, dopo la morte del padre, avvenuta nel 1977, aumentano maggiormente, e l’apice è raggiunto con la celebre frase, che compare sui giornali, destinata a cambiare completamente le due vite: “La mafia è una montagna di merda”. 

Questa sua scelta segna definitivamente la sua vita, tant’è che la mattina del 9 maggio 1978 viene ritrovato il suo corpo dilaniato sui binari della stazione di Cinisi.

Il povero Giuseppe era stato fatto saltare in aria da ben 3 Kg di tritolo, e i pezzi di corpo ritrovati erano stati consegnati a Felicia in un sacchetto. La frustrazione e il dolore di Felicia emergono nello sguardo profondo di una madre che non ha nemmeno l’opportunità di salutare per un’ultima volta il figlio, e la bara a lui destinata, il giorno del funerale, sarà vuota. 

Inizialmente, Peppino era stato accusato di aver programmato, con l’esplosione della bomba, un attacco terroristico, ma Felicia sapeva fin dall’inizio la vera causa della sua morte.

Proprio per questo motivo Felicia si distacca completamente dalla famiglia del marito e si rivolge alla giustizia. Dopo anni di lotte continue, finalmente ottiene giustizia e gli assassini di suo figlio vengono condannati.

Fino alla sua morte, avvenuta il 7 dicembre 2004, Felicia si è sempre impegnata a far conoscere la storia di suo figlio e a lottare contro la mafia. 

Lo spettacolo si conclude con una scena molto dolce che vede Felicia, ormai anziana, che ospita dei giovani desiderosi di conoscere la sua storia e la storia di suo figlio.

Lei stessa ha affermato “La mafia va combattuta con la cultura e non con la violenza”, e in quelle parole, espresse nella febbrile voce di Felicia, emerge il grande significato di questo spettacolo: non tacere, e non dimenticare.

Non tacere davanti alle ingiustizie e ai problemi, denunciare la malvagità, l’omertà, la violenza che zittisce tutti coloro che sono impauriti, e urlare là dove il silenzio zittisce.

E non dimenticare, mai, per rispetto di coloro che hanno sfidato la mafia guardandola dritta negli occhi: Giuseppe perdendo la vita, Felicia perdendo una parte di sé.

Questo spettacolo è un’ancora a cui dobbiamo aggrapparci tutti per non far precipitare nell’oblio le vittime della mafia che hanno denunciato la violenza, divulgando e sfidando apertamente, e anche le vittime spesso dimenticate che sono state trafitte da un dolore immenso e che prima di essere mogli, madri, simboli, e vittime della mafia erano semplici donne.

Costanza Castorina



Il Salice

Il “Salice” nasce nel 1985. Negli ultimi sette anni sono stati pubblicati più di 2000 articoli online.


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