Esiste ancora la politica?

Viviamo in un tempo segnato da un’incertezza costante, che pervade ogni aspetto della vita sociale, economica e culturale. Anche la politica ne è pervasa, forse più di ogni altro ambito. Al Salone del libro, Gianni Cuperlo, Andrea Malaguti, direttore de La Stampa, e Gabriele Segre, direttore della Fondazione Dan Segre, si interrogano sul significato di “Politica” e se esista ancora.
Negli ultimi decenni, tutto l’Occidente mostra una difficoltà strutturale nel costruire e mantenere un progetto, politico o meno, di comunità. La politica sembra non riuscire più a svolgere la sua funzione fondamentale: non tanto quella di trovare soluzioni immediate, ma quella, più profonda e necessaria, di interpretare e capire il presente.
Per comprendere il compito della politica, gli ospiti al salone hanno accentrato la loro conferenza attorno a riflessione proposta dal filosofo Michael Sandel. In un’aula universitaria, Sandel racconta la storia di tre bambini e un solo flauto. Il primo lo vuole perché è l’unico che sa suonarlo, il secondo perché è poverissimo e non ha nulla con cui giocare, il terzo perché lo ha costruito con le proprie mani. A chi dare il flauto? Ogni scelta è giustificabile, ma riflette valori diversi: merito, equità, diritto alla proprietà. In quel momento, decidere significa “fare politica”. Significa scegliere di sostenere una tra le diverse visioni del mondo incompatibili e assumersene la responsabilità.
Già soltanto negli ultimi cinque anni, numerosi eventi hanno messo ancora di più in discussione la tenuta dei nostri sistemi: la guerra in Ucraina, quella ta Israele e Palestina, l’ epidemia di Coronavirus. Tutte queste difficoltà contemporaneamente sono difficili da gestire, anche da un grande apparato politico. E quando il popolo ha paura, spesso smette di confidare nella politica e si affida a “uomini forti”, che considerano siano gli unici che possano proteggerli. È accaduto nella storia, accade anche oggi.
La politica oggigiorno deve fare un passo indietro per fare un passo avanti: tornare a interrogarsi su cosa sia il flauto, prima ancora di decidere a chi darlo. Il flauto può rappresentare la forza militare, il progresso tecnologico, la ricchezza economica — ma se la politica non è più in grado di decidere su questi strumenti, ha perso la sua funzione.
In un contesto così instabile, la democrazia ci appare fragile perché ha perso la capacità di dare speranza. E la speranza non è un’emozione: è una forza.
Esiste ancora la politica? Forse. Esiste, ma non funziona: deve tornare ad avere un ruolo centrale nella comunità.