La figura dello straniero, da Omero ad Albert Camus

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Sono 436 i migranti soccorsi nella notte tra il 5 e il 6 luglio dalle imbarcazioni della guardia costiera; del gruppo faceva parte anche una donna in avanzato travaglio. Notizie come questa sono ormai diventate la quotidianità. Appena vengono annunciate ai telegiornali muovono ancora una certa compassione che è rimasta in chi le ascolta, ma dopo pochi minuti torna già l’assuefazione.

I dati ISTAT riportano che l’8,5% della popolazione residente in Italia è di origine stranieraIl numero di cittadini stranieri sul suolo italiano è incrementato considerevolmente durante il trascorso ventennio, passando dai 1.800.000 del 2003, ai 5.030.716 registrati nel 2022.

Quella dello straniero, è dunque una figura a cui si è perfettamente abituati. Ma nonostante ciò, lo straniero è da sempre un individuo che suscita grande curiosità mista a diffidenza nella mente umana. Proprio per questo motivo è stato, e continua ad essere, uno dei topoi più diffusi e apprezzati nella letteratura antica e moderna.

Lo straniero per antonomasia è certamente il profugo Odisseo, naufrago e ospite presso la corte del re Alcinoo, sovrano dei Feaci. La ξενία, ovvero il valore dell’ospitalità, è uno dei cardini della mens greca. La grande importanza e sacralità attribuita all’ospite emerge in numerose opere letterarie di questo popolo, prima fra tutte l’Odissea. In particolare nel VI libro si racconta dell’arrivo dell’esule Ulisse sulla costa dell’isola dei Feaci, sopravvissuto al naufragio causato dalla furia del dio Poseidone grazie all’aiuto della dea Atena. Qui viene sorpreso dalla principessa Nausicaa, insieme alle sue ancelle, e in seguito accolto e ospitato presso la reggia del padre. Il secondo poema omerico si erge dunque come modello universale di ξενία, un invito all’asilo gratuito verso lo straniero, il prossimo e il diverso.

Nell’opera “I Promessi sposi” di Alessandro Manzoni, nei capitoli che descrivono le vicende di Renzo a Milano, viene descritto quel disagio causato dagli occhi di chi guarda con disprezzo e diffidenza lo straniero. Questo avvertimento di minaccia viene rappresentato nel capitolo XXXIV attraverso la reazione atterrita di una donna: “Ma la prima, l’unica persona che vide, fu un’altra donna, distante forse un venti passi; la quale, con un viso ch’esprimeva terrore, odio, impazienza e malizia, con cert’occhi stravolti che volevano insieme guardar lui, e guardar lontano, spalancando la bocca come in atto di gridare a più non posso, ma rattenendo anche il respiro, alzando due braccia scarne, allungando e ritirando due mani grinzose e piegate a guisa d’artigli, come se cercasse d’acchiappar qualcosa, si vedeva che voleva chiamar gente, in modo che qualcheduno non se n’accorgesse …

Tuttavia lo straniero può essere anche colui che è estraneo a tutto, al mondo stesso, amante solo della bellezza. È proprio così che si presenta il poeta Charles Baudelaire nel poemetto in prosa l’Étranger (lo straniero), pubblicato per la prima volta sul giornale “La Presse” il 26 Agosto 1862. Attraverso il dialogo descritto, l’autore esprime il suo sentimento di estraneità verso il mondo che lo circonda, conoscente ed esperto solo della bellezza, ma quella mutevole e imprevedibile, come le nuvole all’orizzonte. Baudelaire vuole infatti mettere in evidenza la condizione dei poeti, ossia di coloro che scrivono senza un mandato sociale.

Infine l’omonimo romanzo “Lo straniero” di Albert Camus, pagine che descrivono un profondo senso di totale apatia rispetto alla vita e agli avvenimenti a essa correlati. Leggendo Camus, conoscendo il protagonista dell’opera Meursault e disprezzando il suo atteggiamento di indifferenza verso la morte della madre, verso la sua condanna a morte per omicidio, tuttavia si comprende anche l’estraneità dell’individuo rispetto alla società in cui vive e all’universo intero, la profonda e insanabile solitudine che avvolge l’animo umano. “E anch’io mi sentivo pronto a rivivere tutto. Quasi che quella grande rabbia mi avesse purgato dal male, svuotato dalla speranza, di fronte a quella notte carica di segni e di stelle mi aprivo per la prima volta alla tenera indifferenza del mondo”.

Silvia Gilardi



Il Salice

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