Comunico, dunque sono

comunicazione (1)

di Andrea Cassarino

La democratizzazione della cultura

Negli ultimi due secoli politica, economia e cultura hanno vissuto un processo analogo. Se nella condizione antecedente alla Rivoluzione Francese tutti e tre gli aspetti erano concentrati nelle mani di pochi, in particolare dell’aristocrazia, prima il potere economico, poi quello culturale e infine quello politico hanno raggiunto anche la classe borghese e subito dopo, a fine Ottocento, grazie ai movimenti socialisti post rivoluzione industriale, anche le classi sociali più basse sono diventate in questo senso parte integrante della società. Dunque, anche da un punto di vista culturale, siamo passati da un regime liberale “a suffragio ristretto” a un regime democratico “a suffragio universale”: abbiamo assistito a tutti gli effetti a una democratizzazione della cultura

Il ruolo della cultura ai giorni nostri

Il ruolo che la cultura ricopre oggi è agli antipodi rispetto a quelli di cui ci parla Manzoni ne “I promessi sposi”, in cui in molti casi è usata come strumento di soverchia, quasi come un chiaro segnale di distinzione tra chi ha studiato e chi no: il “latinorum” di Don Abbondio, per esempio, o l’”Adelante, Pedro, sed cum juicio”, pronunciato dal cancelliere Ferrer in mezzo a una folla inferocita. In un sistema capitalista come il nostro, le testate giornalistiche e le reti TV più tradizionali, ma anche i libri stessi, hanno tutto l’interesse a vendere più copie possibili o ad alzare lo share televisivo. Continuano ad esserci eccezioni, come i quotidiani che agiscono in settori di nicchia o estremamente specifici, come il sole 24 Ore in ambito economico finanziario, ma il trend generale vede un ampliamento del bacino di fruitori e quindi una naturale tendenza alla semplificazione, nei limiti del possibile.

Un accesso così diretto, facile e trasparente alla cultura è per noi, oltre a una grande conquista, un grande vantaggio, ma anche una seria responsabilità. È come se ci dessero una Ferrari da guidare senza la patente o l’esperienza necessaria per farlo. Come sosteneva Spinoza, più siamo consapevoli, grazie alla nostra ragione, di un qualcosa, meno ne siamo aggiogati: dunque più siamo consapevoli del potenziale, ma anche dei rischi, di un accesso non filtrato da nessuna autorità, in pieno spirito illuminista, alla cultura, più saremo atti a trovare gli strumenti adatti per orientarci in questo oceano immenso, in cui noi possiamo immergerci nuotando armoniosamente, ma in cui possiamo anche essere spazzati da violente onde.

Il problema sorge proprio qui: chi è in grado di saper trovare gli espedienti adatti per orientarsi sono solitamente gli adulti o giovani che hanno raggiunto la maturità, ma nelle ultime generazioni, anche i ragazzi di giovanissima età sono abituati a gran parte del loro tempo sui social network. Ad imporlo è la società stessa e essi già da piccoli si sentono quasi obbligati a scaricarli per paura di rimanere fuori dal mondo dei loro coetanei: i sociologi chiamano questa paura, che si manifesta sotto forma di autoimposizione, FOMO, acronimo per “fear of missing out”.

I social: da piattaforme di svago a mezzi di comunicazione

I social nascono come piattaforme di svago e di associazione: Facebook fu fondato, infatti, da Mark Zuckerberg come community online per gli studenti di Harvard. Negli ultimi anni, però, essi sono diventati anche i nostri mezzi di comunicazione per antonomasia: basti pensare al successo di Instagram e TikTok, soprattutto, ma anche di Telegram e altre piattaforme; se un visionario come Elon Musk, uomo più ricco al mondo, ha avviato le procedure per comprare Twitter per una cifra di circa 43 miliardi di dollari, vuol dire che in questo tipo di mercato di potenziale su cui scommettere ce n’è molto. Come sosteneva Alfieri, alla base della struttura del nostro animo c’è la passione, piuttosto che la ragione, come affermava la mentalità iper razionalista illuminista di stampo cartesiano: noi siamo istintivamente attratti verso questo tipo di applicazione e piattaforme e l’elemento che più ci colpisce, più che il contenuto, è la forma, il lato estetico. Steve Jobs ha più volte detto che la sua più grande fortuna è stata quella di iscriversi a un corso di calligrafia e non continuare a frequentare i corsi tradizionali a cui si era iscritto e su cui i genitori adottivi avevano investito i risparmi di una vita: il suo merito, sempre a detta sua, non è stato creare una tecnologia nuova, ma rendere armoniosa e piacevole agli occhi del fruitore quella tecnologia stessa. Steve Jobs ci è riuscito con Apple e Pixar, Bill Gates, imitandolo, con Microsoft e man mano, sempre su questa onda, sono nati i social, che dominano le classifiche delle app più vendute.

Proprio perchè l’uomo è istintivamente attratto da essi, anche molte testate giornalistiche e altri enti che operavano, in passato, in maniera diversa hanno aperto la loro via di comunicazione anche su questo fronte: basti pensare alle grandi testate come il “Ny Times”, il “the Economist” , il “Corriere della sera”, il “The Guardian”, ma anche molti brand di moda, come Versace, Louis Vuitton, Supreme, che investono molto su questo tipo di piattaforme. 

Controllare e non impedire un processo naturale

Il mondo ormai sta andando in questa direzione ed è sempre controproducente ostacolare un processo socio-culturale naturale: una corretta riflessione sui social, però, non può prescindere dal riconoscerne i limiti. Pur essendo gratis per l’ utente che li scarica, essi generano miliardi di utile, vendendo banalmente le informazioni di chi, seppur incosciente, accetta le condizioni di utilizzo. Il caso di Cambridge Analytica è il perfetto esempio di ciò: riassumendo, questa società è riuscita a vendere informazioni di alcuni utenti e, in base a queste, orientamenti politici di destra, in occasione della Brexit, sono riusciti a creare degli annunci ad hoc per questi utenti, con il fine di influenzarne il voto.

Un altro grande problema che sta peggiorando certamente è quello delle truffe online: molti riescono, con meccanismi pubblicitari quasi perfetti, a convincerne altre a investire in settori di cui sanno poco o nulla, come quello delle crypto, degli NFT o del dropshipping. Molte persone purtroppo ci cascano e in questo mondo, che non è ancora perfettamente legiferato, è difficile poi riottenere i soldi persi. 

Quello che bisogna fare è dare a tutti gli strumenti adatti per orientarsi, in modo da fare un uso dei social consapevole, approfittando dei grandi vantaggi che questo tipo di comunicazione ci dà, ma rendendoci meno vulnerabili dai rischi che essa si porta dietro. Come diceva Pascal, all’universo basta un niente per uccidere l’uomo, ma quest’ultimo avrà sempre un qualcosa in più, in quanto dotato di consapevolezza e coscienza di sè. Ciò vale anche per la tecnologia: essa permette di superare i limiti dell’uomo, ma è e dev’essere pur sempre da lui comandata

Redazione



Il Salice

Il “Salice” nasce nel 1985. Negli ultimi sette anni sono stati pubblicati più di 2000 articoli online.


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