Quando un’immagine vale più di mille parole

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di Camilla Marino e Veronica Fiore

La redazione del Salice ha avuto l’occasione di visitare una delle mostre fotografiche più intense e significative del panorama internazionale, all’interno della Rotonda dell’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino. Nata come luogo di controllo degli studenti, è ora sede culturale, e quest’anno ha avuto l’onore di ospitare la celebre mostra di World Press Photo.

Il World Press Photo è un concorso che ogni anno raccoglie decine di migliaia di fotografie (oltre 60.000) provenienti da tutto il mondo. Si tratta, perciò, non solo di un’esperienza culturale, ma anche emotiva e riflessiva.

Gli scatti: protagonisti di questo contest raccontano storie vere che affrontano grandi temi della realtà storica e sociale, come guerre, crisi ambientali, lotte sociali, vite dimenticate.

Le fotografie selezionate non sono solo immagini visivamente affascinanti, ma strumenti di comunicazione. Non raccontano una storia inventata da uno scrittore, bensì stimolano l’osservatore a costruire un significato personale, pertinente con il tema affrontato.

Chi guarda è chiamato a riflettere su temi profondi, interpretando il messaggio, fino a giungere a una totale forma di empatia nei confronti del soggetto rappresentato. Proprio per questo motivo la mostra si articola attorno a un concetto chiave: temi vicini che raccontano storie lontane.

Un esempio emblematico è lo scatto realizzato in Indonesia, nel quale il contrasto tra la natura rigogliosa e una fabbrica sullo sfondo mostra il costo dell’industrializzazione, che sta portando questi luoghi a svanire all’interno di deforestazione, inquinamento e sfruttamento del lavoro legati alla produzione di nichel.

Tutto questo viene raccontato da un’immagine che, in un solo sguardo, ci ha restituito un’intera storia, che non riguarda solo una nazione ma tutti i contesti vicino a noi che nel nostro quotidiano continuiamo a sminuire, come se non vivessimo gli stessi squilibri e conseguenze.

Durante l’uscita abbiamo riflettuto molto su cosa significa comunicare attraverso le immagini.

In un mondo così effimero le parole non bastano per descrivere un concetto, soprattutto se abbiamo la possibilità di sostituirle.

Foto, emoji, sticker nei messaggi, reel su Instagram e TikTok traducono immagini che la nostra mente riconosce e amplia in concetti che possono anche seguire un filo lunghissimo generato in pochissimi secondi.

Ci chiediamo allora quante volte ci siamo fermati a guardare veramente un’immagine, riconoscendone una dimensione allegorica e uno realistica. O quante volte abbiamo fatto più caso all’azione rappresentata in piano primo piuttosto che allo sfondo.

Qui si entra nel discorso che abbiamo affrontato proprio come laboratorio alla mostra di World Press: l’interpretazione.

Perché un’immagine può essere manipolata, può persuadere allo scopo di farti notare cose che in realtà non ci sono ma che in un singolo dettaglio possono essere falsamente racchiuse.

Un dettaglio. E il resto?

È proprio lì la storia che dobbiamo creare, è lì che dobbiamo attivare la mente. L’interpretazione non c’entra più. Qui incombono le emozioni, l’empatia, la sofferenza.

In quel momento noi respiriamo l’aria che sa di smog, siamo dentro un qualsiasi quartiere povero, abbiamo in mano una pistola e la sentiamo sotto il nostro tocco.

L’immagine perciò va oltre: non rappresenta semplicemente un oggetto o un momento, ma scandaglia la realtà, soffermandosi su ciò che spesso scegliamo di non vedere.

Questa visita è stata un’occasione per aprire gli occhi, riflettere e forse anche sentirci un po’ più connessi con il mondo.

Perché, come abbiamo capito, un’immagine può davvero valere più di mille parole.

Camilla Marino



Il Salice

Il “Salice” nasce nel 1985. Negli ultimi sette anni sono stati pubblicati più di 2000 articoli online.


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